domenica 31 marzo 2013

Buona Pasqua!

Cari lettori,
anche per quest'anno le festività pasquali sono alle porte.
Tutto lo staff coglie l'occasione per farvi i migliori auguri di buona Pasqua, con l'appuntamento ai prossimi giorni per tanti nuovi articoli e riflessioni.

PS: come non allegare un'immagine artistica agli auguri?
Ecco a voi il polittico Averoldi del Tiziano ( in questi giorni in mostra alle Scuderie del Quirinale), presso Brescia.
AUGURI!!

mercoledì 20 marzo 2013

Pensieri sparsi dalla lontana pioggia


Piove fuori dalla mia finestra.
Piove fitto e il rumore delle gocce che cadono al suolo rimbomba nel mio orecchio. Riesco a percepire alcune reazioni: gli abeti bevono della regalata freschezza, la rondine trova riparo sotto un comignolo. I passanti si adirano perché non hanno di che coprirsi, mentre una macchina un po’ presuntuosa domina il percorso della strada bagnata.
Apro un libro e incontro il Vate.
Le sue parole si confondono con i suoni che mi arrivano.  Le gocce che piovono sulle tamerici sono le stesse che abbeverano i miei fiori e il cielo cimerino è lo stesso che avvolge la mia casa.
Penso.
Oh Ermione, sulle tue mani ignude piove, piove anche sulle tue leggere vesti.
L’acqua modella le forme del tuo corpo e il perlaceo della seta lascia trasparire il tuo cuore di pesca.
Tu sei avvolta  e illusa dalla favola bella, mentre la tua complementare creatura celeste ti cinge e si mescola con te e con le tue sensazioni.
Io, nell’intimità delle mie cose, non odo il canto delle cicale o quello del mirto o quello del ginepro.
Sento rumori metallici di macchine in moto, sento musiche lontane, sento voci gridare.
Intorno a me non vedo pini e abeti, ma il loro più triste epilogo: il legno lucido del mio tavolo sostiene i miei pensieri e l’accennato profumo delle sfiorite rose consola la mia solitudine.
Con me non vi è amico: posso pensarlo e vederlo in fotografia, o sentire la sua falsa voce al telefono.
Le mie mani non si stringono dolci ad altre, sui miei cigli non pendono gocce di rugiada, ma cupe preoccupazioni.
Tu, Ermione, non piangi di tristezza, ma di piacere. Le tue lacrime si confondono con le gocce di pioggia, ma l’altra tua anima le riconosce e le colleziona.
Vi rifugiate in ogni spazio, la natura aiuta il vostro incontro, la bella favola vi illude entrambi.
Non più di carne e di sangue siete fatti, ma di mandorle e di erbe.
Guardo le mie mani e vedo uomo, tocco il mio viso e sento pelle.
Ma con me c’è la Parola, c’è il Verso.
Non mi è concesso di assaporare il profumo della pioggia, né di fondermi con la rugiada.
Ma posso rinfrescare i miei pensieri con le Rime, le mie mani possono trasformarsi in tamerici, la mia casa si muta nel pineto.
Ed ecco che il nocciolo del mio cuore vibra all’arrivo della favola bella.
Non odo il canto del ginepro ma i passi di qualcuno che arriva al mio uscio.
Su di noi non scivola pioggia, gli alberi non ci uniscono.
Su di noi, ora, piove Speranza, le nostre anime, ora, sono unite dal Desiderio.
                                                                                                                            -Federica


sabato 16 marzo 2013

Friday Boulevard: the best of the week

Salve a tutti cari lettori!
Anche per questa settimana abbiamo appeso al chiodo le scarpe da lavoro, dunque quale miglior modo di rilassarci se non spulciando qua e là tra i vari eventi artistici organizzati in lungo e in largo nella nostra "bell'Italia"?

Se siete nei pressi di Milano, vi consigliamo "Modì tra arte e cinema", un omaggio cinematografico composto da tre pellicole dedicate al più misterioso artista figurativo del primo Novecento, il “pittore  maledetto” Amedeo Modigliani. L'evento è proposto dalla Fondazione Cineteca Italiana in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura, Moda, Design del  Comune di Milano e si terrà dal 15 al 29 marzo.

Se invece respirate l'aria fiorentina, vi consigliamo di visitare i musei a cielo aperto nelle piazze della Stazione e in quella dell'Accademia, che si vestono di Surrealismo: vi sarà infatti un'esposizione dedicata al grande Salvador Dalì. La mostra continua a Palazzo Medici Riccardi, The Dalì Universe Florence, con più di 100 delle sue opere, varca i confini di questa storica sede rinascimentale, per uscire allo scoperto ed accogliere en plein air due sculture di grandi dimensioni del maestro spagnolo del Surrealismo, opere che rappresentano anche due delle icone che gli furono più care.

Per concludere il nostro itinerario artistico, vi deliziamo con una perla egizia: Una squadra di archeologi tedeschi ha rinvenuto a Luxor, l'antica Tebe, un gruppo di 14 grandi statue raffiguranti Sekhmet, antichissima divinità solare zoomorfa. E' stato un evento importante e significativo per la storia dell'arte egizia, che ha il sapore e il gusto del 1200 a.C.
                     Buon fine settimana!

giovedì 14 marzo 2013

Fantascienza e Mitologia, pt.1



Scena: un furgone percorre una strada desolata, accosta, ne scende una ragazza. Si addentra nella sterpaglia a lato della carreggiata, a cercare un posto per fare pipì. Pochi secondi e la tragedia si consuma alle sue spalle, con uno schianto. La ragazza rimane paralizzata. Quando osa voltarsi realizza quello che aveva temuto: il suo fidanzato è sceso a sua volta dal furgone ed è stato investito.
Questa, fuor di metafora, è stata la scena cardine che ha dato origine alla riflessione: quanto peso ha il mondo del mito nell’attuale cinema di fantascienza?
Volendo porla in maniera magniloquente, è come un filo conduttore che parte dall’antichità e si riversa nei nostri giorni. In fondo, le tematiche, le idee, le situazioni, l’umanità in sé, sono sempre le stesse da millenni, è solo l’abito che cambia.

Se coi miti avevamo, un po’ come le parabole evangeliche, esempi edificanti, volti appunto ad educare o storie senza un’origine certa create per spiegarsi fatti altrimenti incomprensibili, uno sguardo al passato che serviva per dare una legittimazione alla vita stessa, nella fantascienza la situazione è uguale e contraria, con l’unica differenza che la tensione è, almeno nella maggior parte dei casi, al futuro. Non ce ne vogliano i detrattori, ma dietro ogni opera sci-fi e ogni mito che si rispetti c’è, anche in piccola parte, un velato avvertimento, un appello implicito allo spettatore a non ripetere gli stessi errori che vengono presentati, e questo a prescindere che si stia mostrando una guerra atomica di dimensioni planetarie, o una maga innamorata che fa a pezzi i figli per vendicarsi del marito fedifrago.

Tornando alla scena presentata inizialmente, tratta dal film Womb, il paragone è più una strizzatina d’occhio: la ragazza che non si vuole voltare per non affrontare la realtà appare come Orfeo alle porte dell’Ade, che, per portare in salvo la sua amata morta, deve scortarla fuori dall’Oltretomba senza voltarsi a guardarla. A prescindere dalla versione del mito a cui fare fede, e quindi a prescindere dal motivo, Orfeo si volta e la perde per sempre. Ora, è stato lo stesso Benedek Fliegauf, regista del film, a paragonare la storia a quella del mito, ma la vicenda è effettivamente simile: due ragazzi si ritrovano dopo anni, e riprendono la loro tenera storia d’amore, fino alla morte del ragazzo per via di un incidente; la sua fidanzata decide allora di partorire il suo clone, con conseguenze immaginabili.
Orfeo ed Euridice
Orfeo, sentendosi in colpa per aver causato la morte di Euridice, discende vivo nell’Ade (che, a dirla tutta, nei miti sembra più popolato da vivi che da morti, vista la quantità di eroi ivi scesi per questo o quel motivo) . Rebecca, la protagonista del film, decide invece di farsi madre del suo Tommy, e qui scatta la domanda: lo fa per riaverlo indietro come persona o come amante? E qui individuiamo il primo sacrificio, essendo la donna costretta poi a condividere con un’altra l’amato, il quale ovviamente è all’oscuro di tutto. Vediamo infatti la madre/fidanzata che, sebbene non presenti segni di invecchiamento (essendo interpretata sempre dalla stessa Eva Green) , pare spegnersi di giorno in giorno via via che il suo bambino cresce e diventa un uomo. Un invecchiamento tutto mentale, reso nella sempre più debole vitalità della donna, che alla fine non fa che dormire tutto il giorno, alla sua espressione, che da compiaciuta che era mentre osservava crescere il suo bambino, diventa totalmente distaccata dal mondo terreno una volta che questi è adulto. Un’insostenibile consapevolezza di aver tentato contro l’opinione di tutti e aver fallito, comprendendo solo alla fine che il suo gesto è stato una mera, egoistica follia della scienza.

Rebecca non potrà più avere Tommy come amante ma, al massimo, come figlio. Anche Orfeo non potrà più avere la sua Euridice viva e felice come una volta, dopo che questa ha conosciuto l’eterno buio infernale, come ha già fatto notare Cesare Pavese, secondo il quale il mitico cantore si volta di proposito, avendo compreso come l’amata sia simbolo di un passato felice ma irraggiungibile, paradossalmente lo stesso motivo per cui è riuscito a commuovere la regina dell’Inferno, Persefone, facendole ricordare la sua primavera sulla terra e strappandole il permesso di portare via Euridice. Ella sembra così avere, per un breve lasso di tempo, l’impressione di venire nuovamente al mondo, di lasciare quell’utero inconsueto che era l’Inferno, ma verrà definitivamente condannata, appena a un passo dalla soglia che segnava la differenza tra la vita e la morte.

Lasciami entrare
Parimenti, nella cittadina senza nome in cui si muovono i due protagonisti del film (e pochi altri) , si ha l’impressione di vivere dentro una gelida placenta. Effettivamente è l’unica location della pellicola, come l’utero è l’unico ambiente che il bambino conosce fino alla nascita. Amplissime panoramiche paesaggistiche di ambienti marini riempiono il film, col colore del mare che riflette quello del cielo, nuvoloso, sereno, tempestoso, a seconda dell’umore. In effetti è più il paesaggio che parla rispetto all’azione, più le espressioni del viso rispetto ai dialoghi. Il regista sforna, insomma, un’opera prettamente estetica, puntando sull’impatto visivo e lasciando le implicazioni di trama e contenuti semplicemente accennati, lasciandoli indovinare. Un processo simile si è visto in Lasciami entrare, di Tomas Alfredson, in cui l’azione è rarefatta e le riprese statiche. Tra l’altro, l’horror svedese condivide col film di Fliegauf i paesaggi vuoti e freddi, catartici.

Stalker
A dirla tutta, parlare di fantascienza riguardo a Womb sembra strano, essendo totalmente privo di effetti speciali, per l’unica ragione che non servono. Come abbiamo detto, non è mostrato nulla al di fuori delle conseguenze delle azioni, a discapito delle azioni stesse, le quali, al massimo, sono mostrate per brevissimi istanti. Una scelta che lo accomuna al Tarkowsky di Stalker, al limite tra fantascienza vera e propria e dramma in senso stretto, dramma che ricorre in un altro riferimento importante, quello ai monstra di senechiana memoria, di cui uno in particolare, l’Edipo, ci interessa da vicino.

Edipo accecato accanto al cadavere di Giocasta
Nel dramma del poeta latino, così come nel mito, assistiamo a un’escalation riguardo la presa di coscienza del misfatto, che termina con l’autopunizione dei due amanti incestuosi, così come nella pellicola vediamo una serie di piccoli indizi che il redivivo Tommy (il quale, inspiegabilmente, ha memorie della sua vita precedente) non si spiega e che, una volta connessi, lo portano a una reazione imprevedibile. E’ una mostruosità (un monstrum, appunto) , come spesso accade di natura passionale, che di norma una delle due parti caldeggia e l’altra aborrisce: proprio come succede con Ippolito e la sua matrigna Fedra, che cerca di sedurlo, come Medea che uccide i suoi bambini innocenti per vendetta, come Atreo che serve al fratello le carni dei suoi figli.
Dopotutto è l’essere umano a essere coacervo e fautore di orrori, anche solo involontariamente, o peggio, pensando di agire a fin di bene o per un semplice tornaconto personale.
Orfeo ed Edipo si pongono in essere come due infelici paladini agli antipodi: mentre uno riesce a incantare uomini e bestie con solo la potenza della sua voce, una poeticità portata ai massimi livelli, una sorta di benedetto dagli Dei che comunque termina la sua vita in una serie di fallimenti di cui pare semplicemente la vittima, l’altro sembra causare e poi rifuggire un orrore dietro l’altro, marchiato alla nascita da una maledizione funesta e da cui non si può scappare.


Il film, come il mito, è infine una lezione sulle conseguenze di scelte estreme, un tema estremamente attuale. Impossibile non correre col pensiero alle moderne diatribe sull’aborto, sull’inseminazione artificiale, sull’eutanasia, com’è impossibile per l’uomo liberarsi dalla domanda “E se fosse andata in un altro modo?” . La fantascienza cinematografica offre una soluzione di comodo, tutta in celluloide. 

lunedì 11 marzo 2013

Pittore vs. Regista (pt.4): la creazione secondo Michelangelo e Stanley Kubrick

"Non c'è due senza tre ed il quarto vien da sé": la scorsa volta ci eravamo salutati con questo proverbio che mia nonna amava ripetere ogni volta se ne presentasse l'occasione e mi sembra il caso di dire che, effettivamente, capita proprio al momento giusto!
Dopo tre appuntamenti con questo quarto, ed ultimo, intervento termina la saga di "Pittore vs. Regista", iniziata con Goya ed il cinema "weird" di Yuzna e Merhige e proseguita con le considerazioni di carattere antropologico rapportate al tema della carne umana e del corpo di Francis Bacon e David Cronenberg e con il terzo appuntamento, in cui Renè Magritte e David Lynch hanno messo sottosopra le menti degli spettatori con le loro labirintiche visioni della realtà e della psiche umana. E con l'ultimo appuntamento si conclude in bellezza questo piccolo ciclo di articoli, un titano della pittura dialoga con uno dei più influenti maestri del cinema Hollywoodiano sul delicato tema della creazione umana.


Ci sono domande antichissime a cui l'uomo ha tentato con ogni mezzo di dare una risposta: una di queste è di sicuro "Chi siamo e da dove veniamo", le religioni, le filosofie e le varie teorie sull'evoluzione e sull'antropologia sono congetture ed ipotesi che non riescono ad indagare un mistero così profondo ed inconoscibile, e piano piano si fa strada un'angosciosa domanda: siamo forse frutto del caso o magari c'è una qualche entità che ci ha creato o, per meglio dire, ha accompagnato il nostro corso evolutivo?


La Bibbia ha cercato di rispondere a questo quesito sul senso della vita nel libro della "Genesi", ove si racconta di come Dio creò il cosmo, la terra e tutti gli esseri viventi, eleggendo l'uomo come creatura fatta a sua stessa immagine e somiglianza

«il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.»

Il concetto più alto della dignità umana, con Dio che crea l'essere umano a sua immagine e somiglianza, la bellezza del corpo umano come diretta emanazione e specchio della spiritualità umana, punto più alto della creazione divina, è alla base di una delle opere più rappresentative del Rinascimento Italiano, la "Cappella Sistina" di Michelangelo Buonarroti, di cui il Vasari scrisse:

«[Nella] creazione di Adamo, [Michelangelo...] ha figurato Dio portato da un gruppo di Angioli ignudi e di tenera età, i quali par che sostenghino non solo una figura, ma tutto il peso del mondo, apparente tale mediante la venerabilissima maiestà di quello [Dio] e la maniera del moto, nel quale con un braccio cigne alcuni putti, quasi che egli si sostenga, e con l'altro porge la mano destra a uno Adamo, figurato di bellezza, di attitudine e di dintorni di qualità che e' par fatto di nuovo dal sommo e primo suo creatore più tosto che dal pennello e disegno d'uno uomo tale»

Sullo sfondo di un'alba (che simboleggia per il neoplatonico Michelangelo, proprio l'alba dell'umanità) si stagliano le figure di Adamo e di Dio, il primo sdraiato su un manto erboso risvegliatosi da un letargico torpore, il secondo trascinato dagli angeli ed avvolto in un mantello purpureo: la straordinaria invenzione degli indici alzati, un attimo prima di toccarsi, rende perfettamente l'idea dell'incontro fra l'umano ed il divino, non è un caso forse che Adamo sia sdraiato e statico mentre Dio sia in movimento, per simboleggiare forse sia la benevolenza del Creatore che va incontro alla sua creatura prediletta sia la potenza e l'energia di Dio che, con l'imminente contatto degli indici, verrà trasferita come vitalità all'uomo. Ma l'attesa trepidante rimane irrisolta, il contatto che non avviene rappresenta anche l'irraggiungibilità della perfezione divina da parte dell'uomo.


Proprio il gesto semplice dell'indice che si avvicina al Creatore si ritrova con imbarazzante somiglianza in uno dei capolavori di Stanley Kubrick, l'epico "2001: Odissea nello spazio".
Mi sorprendo ancora di come artisti separati da cinque secoli di distanza siano capaci di esprimere, con mezzi e formazioni diverse, concetti tanto simili ed arrivare a creare opere magnifiche e così vicine fra loro: la pellicola di Kubrick è una favola apocalittica sul destino dell'umanità e dello sviluppo della tecnologia, un'avventura spaziale, raccontata come un documentario (anche grazie allo stile realistico ed oggettivo del regista, merito della sua formazione come fotoreporter) che si trasforma nella scoperta di se stessi. Il monolite nero (forse un riferimento alla al-Ḥajar al-Aswad, la Pietra Nera sacra al mondo islamico?) è un'intelligenza etraterrestre che ha permesso ai primati che si vedono all'inizio della pellicola di evolversi in esseri umani, un'analogia con Dio che trasmette la vitalità al letargico Adamo.


Ma è proprio nel commovente finale che si realizza il senso di questo viaggio che è molto più di un'esplorazione spaziale: il protagonista, l'astronauta David Bowman, dopo un viaggio verso Giove per studiare il misterioso monolite nero si ritrova catapultato in una misteriosa stanza chiusa arredata in stile impero, dove trova un letto, un bagno e del cibo necessari a soddisfare i suoi bisogni primari. Il tempo scorre rapidamente (un'iperbole temporale tipica del cinema di Kubrick) e Bowman attraversa in un lampo i vari stadi della sua vita sino ad arrivare al culmine della sua vecchiaia e, disteso sul letto, vede dinnanzi a sè il monolite nero.
E qui si assiste, a mio parere ad una delle scene più profonde, complesse e commoventi della cinematografia del XX secolo: Bowman con respiro affannoso guarda il monolite nero che, nella sua indecifrabilità, sembra rispondere allo sguardo dell'uomo, l'astronauta oramai prossimo alla morte alza il braccio destro e tende, con le sue ultime forze, l'indice verso il monolite, come nell'affresco della cappella sistina di Michelangelo e si rinasce come "starchild", un feto cosmico che osserva, dallo spazio, la Terra. È curioso far osservare come, al contrario dell'affresco michelangiolesco, non è la divinità ad avvicinarsi all'uomo ma è l'essere umano che, stavolta, tende verso non chi l'ha creato ma chi ne ha accompagnato lo slancio evolutivo ed il cammino.  
Questa ultima metamorfosi è accompagnata dal maestoso tema di Richard Strauss "Così parlò Zarathustra" che aveva già sottolineato le prime immagini del film ed in particolare l'evoluzione delle scimmie e conclude, così, in maniera epica e circolare l'intera pellicola, mostrandoci in meno di un minuto il nuovo slancio evolutivo e vitale dell'essere umano, che regredisce allo stato di feto ed osserva dall'alto la sua terra, diventando quasi un tutt'uno con il suo pianeta ed il cosmo stesso: l'uomo come parte minuscola, ma al tempo stesso centrale e vitale, di tutto il creato.


Mi sembra doveroso citare l'ultimo verso che conclude la "Divina Commedia" di Dante Alighieri, che sembra racchiudere quanto visto finora:

«[...] A l'alta fantasia qui mancò possa;  
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle.»

Due visioni diverse, due epoche lontanissime e due modi di operare praticamente agli antipodi, eppure il concetto è proprio quello di un'entità benevolente che ha accompagnato da sempre l'umanità nel suo cammino, un gesto di amore che non ci rende più frutto del caso.


                                                                                                     -   P.

venerdì 8 marzo 2013

Friday Boulevard: best of the week

Molti dei nostri "followers" - si dice così? - conosceranno ormai il nostro interesse verso il mondo della musica, per cui apriamo il secondo Friday Boulevard di marzo con la notizia della pubblicazione di un libro di Pietruccio Montalbetti (per chi non lo sapesse, chitarrista storico dei Dik Dik) sulla sua amicizia col compianto Lucio Battisti, di cui proprio tre giorni fa ricorreva l'anniversario della nascita.

Una notizia ghiotta ghiotta viene invece da Mountain View: è appena stata lanciata una nuova piazza virtuale d'arte su Google, inaugurando il primo appuntamento un paio di giorni fa. Tante lezioni, tavole rotonde e incontri sono in programma. Se vi siete persi il primo, segnatevi il secondo appuntamento, mercoledì 20 marzo, sul nudo femminile nell'arte.

Ci lascia un altro grande della Settima Arte: Damiano Damiani si è spento ieri a Roma. Tra i suoi film, Il rossetto, Quien sabe? e soprattutto Il giorno della civetta, tratto dall'omonima opera di Sciascia. Ultimamente lo ricordiamo per i suoi lavori in campo televisivo e nel genere che potremmo definire b-movie.

Altri grandi personaggi ci lasciano anche al di là della Manica: le collezioni di Sir Denis Mahon, storico e critico d'arte, scomparso nel 2011, sono state formalmente consegnate alla Gran Bretagna, per la storica, inusuale e gloriosa clausola che i musei che le ospitano rimangano gratis per tutti. Una decisione da imitare, possibilmente, e finanze permettendo.

giovedì 7 marzo 2013

L'altra faccia dell'Arte : John Everett Millais



Cari lettori, oggi con questo intervento si apre un nuovo ciclo di articoli, volti a proporvi un'altra faccia della storia dell'arte, quella che molto spesso viene messa in ombra dai grandi mostri sacri. In queste pagine si presenteranno opere sconosciute ed artisti minori che hanno contribuito in ogni caso ad accrescere il nostro patrimonio artistico.
Oggi si parla di John Everett Millais (pittore vittoriano noto soprattutto per la sua Ophelia, nda) e del suo Compianto.

  • L’artista assiste il compianto di una giovane ragazza (1847)
  • John Everett Millais; 
  • Olio su tavola, 
  • 18,7 x 25,7 cm; 
  • Londra, Tate Gallery.


Millais realizzò quest'opera a soli 18 anni, dopo aver appena terminato la sua formazione alla Royal Accademy. Al giovane artista viene chiesto di realizzare un ritratto ad una ragazza morta e deposta nella bara prima della sua sepoltura. L’accaduto lo tocca a tal punto che decise di autoinserirsi nell'opera. Millais si guarda dall’esterno e ci fa diventare testimoni della sua angoscia rappresentandosi di spalle e con il cappello in mano, mentre conversa con la madre della ragazza. La bara è posta in primo piano nella stessa angolazione che il pittore ha assunto per il ritratto della defunta, una posizione orizzontale che ricorda la futura Ophelia, anch'essa con la morte come soggetto (Ophelia era un personaggio creato da Shakespeare, nda). Il panno bianco suggerisce innocenza e nella sua contemporanea età vittoriana veniva usato per la sepoltura dei bambini, che a causa dell’elevata mortalità per malattie era molto frequente.

                                                                                                                          -Federica

lunedì 4 marzo 2013

Pittore vs. Regista (pt.3): Renè Magritte dialoga con David Lynch

« Le immagini vanno viste quali sono, amo le immagini il cui significato è sconosciuto poiché il significato della mente stessa è sconosciuto. »   (R. Magritte)


Alle vole l'arte sembra quasi prendersi gioco di noi: ci sono artisti che, con le loro opere, sfidano le nostre capacità di interpretazione e i nostri sensi, l'arte si trasforma quasi in una sorta di “gioco mentale” in cui non si riesce a capire se c'è un significato più profondo ben nascosto o si assiste solo alle burle di un artista che si diverte a far scervellare gli osservatori. Il movimento surrealista, negli anni '20 del secolo scorso pose l'attenzione sulle vere potenzialità creative dell'inconscio, quell'abisso della mente umana teorizzata da Sigmund Freud, criticando la razionalità cosciente e dando il giusto spazio al mondo onirico che la società moderna sembrava aver dimenticato, un modo per rappresentare la realtà frammentaria (o forse, un frammento di realtà) di quel “grand siècle” che fu il '900. L'illusione positivista di un mondo oramai totalmente compreso dall'uomo decade con l'arrivo del nuovo secolo, la realtà è un mistero inconoscibile: le equazioni di Maxwell mettono in ginocchio tutte le teorie della Fisica “classica” che hanno fornito la spiegazione di tutti i fenomeni naturali fino a quel momento e Freud, con la psicanalisi, dimostra che l'uomo non ha certezze nemmeno su se stesso, tutto è un mistero e ogni tentativo quasi “borghese” di svelare questo mistero è una pretesa risibile, il “reale” (o il “fenomenico”, come direbbe Kant) non può essere rappresentato né tantomeno interpretato, ma se ne può mostrare il mistero inconoscibile: insinuare dubbi nell'osservatore, questo lo scopo del “saboteur tranquille”, ossia Renè Magritte.


Troppo spesso si è cercato di banalizzare la pittura di Magritte con semplici (e semplicistiche) analisi psicologiche, riconducendo molte trovate pittoriche allo shock che il pittore ha subito da piccolo per via del suicidio della madre; Magritte procede per dissociazione, rompe i legami fra somiglianza e affermazione, far agire l'una senza l'altra e mandare letteralmente in tilt il senso logico dello spettatore, che rimane spaesato, ma al tempo stesso meravigliato, dalle opere: merito anche dello stile pittorico di Magritte, capace di un illusionismo onirico che riesce a rimanere sempre freddo ed impersonale, capace di accostamenti incredibili e realtà assurde con una naturalezza ed una spontaneità tali da rendere il tutto armonioso, merito anche del raffinatissimo trompe l'œil che egli usa nelle sue tele. Si potrebbe quasi dire, usando un paragone musicale, che Magritte, crea melodie meravigliose giocando con le più aspre dissonanze: massi leggeri come nuvole, cieli diurni che si stagliano su paesaggi notturni e parti di cielo che si trasformano in uccelli, non c'è la riflessione “paranoide” di Salvador Dalì o l'esplosione inconscia del surrealismo di André Breton, è uno sguardo lucido sulla realtà circostante con la sola esigenza di tradurre in immagine il silenzio di ciò che ci circonda: il mondo è un mistero indefinibile per Magritte, un'affermazione che sarebbe sicuramente piaciuta anche a Giovanni Pascoli.


 

Meraviglioso, al riguardo, è uno dei più famosi quadri di Magritte, “Gli amanti” dove una coppia si bacia appassionatamente ma i loro volti sono coperti da sudari: dietro il fitto intreccio di morte, impossibilità di comunicazione e maschere che confondono e cambiano i lineamenti (tema ripreso dai libri gialli di cui il pittore era un vorace consumatore) ma ancora una volta torna in auge la questione del visibile e dell'invisibile con questo angosciante bacio nascosto che priva di ogni caratterstica di individualità i due amanti, «un oggetto può implicare che vi sono altri oggetti dietro di esso» scriverà Magritte nel 1929.  


Una realtà frammentaria, quindi, o un frammento di realtà? Del resto la psicanalisi di Freud si configura come la terza, terribile stilettata alle certezze dell'essere umano: dopo aver scoperto con Keplero che la terra non è il centro dell'universo e dopo che Darwin, con la teoria dell'evoluzionismo, dimostra come l'uomo sia frutto di un'evoluzione casuale, ecco l'ultima agghiacciante verità, non siamo padroni nemmeno di noi stessi, non riusciamo a guardare oltre l'abisso oscuro del nostro inconscio e non riusciamo ad essere nemmeno padroni della nostra mente.  
Certe volte sembra incredibile come menti tanto simili possano vivere in epoche e contesti diversi, riuscendo a produrre opere diverse ma con un'affinità impressionante, la tematica dell'inconscio e della realtà distorta dalla mente, del sogno e del senso inconoscibile permea la poetica di uno dei registi più ammirati dell'ultimo ventennio: David Lynch.


Lynch è un artista poliedrico, capace di destreggiarsi come un funambolo fra scrittura, cinema, pittura e musica ed il suo stile come regista resta uno dei più apprezzati dalla critica: Lynch mescola nei suoi film la pratica della meditazione trascendentale alla lettura rivisitata e corretta dei concetti della psicanalisi freudiana. Come Magritte anch'egli non fornisce mai interpretazioni per le sue pellicole, lasciando allo spaesato spettatore l'arduo compito di trovare il filo di Arianna nei labirinti che il regista tesse. La cosa che più colpisce delle pellicole di Lynch è il suo stile narrativo e visivo, il mix di sequenze oniriche ma al tempo stesso angosciose e la suggestione delle musiche e dei paesaggi che riescono a dare un tono etereo alla vicenda: le scene surreali sembrano prese da un sogno ma riescono a risultare veritiere e tangibili, come se da pittore, Lynch, giocasse con il trompe l'œil.  
Come in una tela di Magritte le scene sono statiche, silenziose e pervase da un clima a metà fra il fantastico ed il reale, i colori della cinepresa sembrano quasi sfumati e l'occhio del regista resta sempre distante ed impersonale tanto che risulta difficile capire chi è l'eroe della vicenda e per chi simpatizzare.
È straordinaria la capacità che Lynch ha avuto nello stravolgere un genere come il film noir e trasformarlo in un'odissea di una mente, ne è un esempio fantastico il celebre film “Munholland Drive”, storia di un sogno di una giovane donna, aspirante attrice, che uccide la propria amante e viene sopraffatta dai sensi di colpa: la simbologia, l'intreccio e soprattutto l'oscurità della pellicola fanno letteralmente naufragare nel buio lo spettatore, che si perde come di fronte alle tele di Magritte: il sogno penetra e si intreccia con la realtà, gli oggetti del mondo reale entrano nel sogno e la figura enigmatica del “cowboy” con il suo sguardo privo di sopracciglia è il tramite fra il mondo onirico e quello materiale.



Gli echi magrittiani pervadono anche “Strade perdute” , altra pellicola di Lynch: ancora una volta si parte dal genere noir che viene radicalmente stravolto, la storia “reale” sembra fondersi con i processi mentali che il protagonista Fred Madison vive, come in una sorta di nastro di Möbius.
E come non citare la leggendaria serie “Twin Peaks”? Una tranquilla cittadina americana che nasconde un mondo oscuro, abitato da doppelgänger, demoni e spiriti, un caso di omicidio che sembra irrisolvibile e un mistero che diventa sempre più fitto man mano che si scava

.
Lynch e Magritte giocano sporco, si appropriano di un linguaggio e di un approccio realista per descrivere situazioni surreali, in cui il mistero, l'inconoscibile e l'abisso oscuro della psiche umana si fondono con la dimensione fenomenica.  
Del resto, l'arte è anche questo: andare a stimolare la mente dell'osservatore e portare una provocazione capace di smuovere l'animo e la mente dell'uomo che la vita borghese fa cadere in letargia, Lynch e Magritte mostrano come la modernità non sia portatrice di certezze e si divertono a risvegliare lo spirito della curiosità per permettere di esplorare quella realtà di cui riusciamo a vedere solo una parte.

                                                                                                   
                                                                                                                  -   P.



PS: non c'è due senza tre ed il quarto vien da sé, diceva mia nonna... quindi fra poco ci sarà l'ultimo appuntamento con la serie “Pittori vs. Registi” con un finale in grande stile!


venerdì 1 marzo 2013

Friday boulevard: best of the week

Marzo è arrivato e speriamo si porti dietro anche un po' di Primavera! Ma bando alle ciance, passiamo alle notizie di questa settimana.

La notizia che più mi ha colpito è stata quella di un mercato dell’arte che cresce del 36% all’anno. Cina? India? No, Repubblica Ceca: è stato battuto all'asta il dipinto "The Shape of Blue", di Frantisek Kupka, del 1913 al prezzo di 57 milioni di corone, pari a 2,2 milioni di euro. Un mercato che sembra si stia assestando!
Mi ha fatto molto piacere poi, la notizia che gli scritti del Codice Arundel che sono ora disponibili online grazie al lavoro svolto dalla British Library di Londra, rendendo così alla portata di un click studi di fisica, meccanica, ottica, geometria euclidea e architettura illustrati attraverso annotazioni e disegni per mano di Leonardo da Vinci.

Tornando in Italia invece, la buona notizia è un accordo tra Linea d'Ombra e Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna per una mostra  che porterà a Palazzo Fava - Palazzo delle Esposizioni dall'8 febbraio al 25 marzo 2014 la rassegna  al centro la cosiddetta «Gioconda del Nord», ossia la «Ragazza con l'orecchino di perla» di Vermeer. Un'occasione unica per ammirare da vicino un simile capolavoro!

Per concludere, Ettore Scola presenta 'Un americano a Roma', film che inaugura il ciclo Magnifico Albertone, curato da Francesco di Pace, un omaggio di Rai Tre a dieci anni dalla scomparsa dell'attore.

Vi auguro un buon week-end e vi aspetto a lunedì con un nuovo articolo!

                                                                                                                   - P.