« Le immagini vanno viste quali sono,
amo le immagini il cui significato è sconosciuto poiché il
significato della mente stessa è sconosciuto. » (R. Magritte)
Alle vole l'arte sembra quasi prendersi
gioco di noi: ci sono artisti che, con le loro opere, sfidano le
nostre capacità di interpretazione e i nostri sensi, l'arte si
trasforma quasi in una sorta di “gioco mentale” in cui non si
riesce a capire se c'è un significato più profondo ben nascosto o
si assiste solo alle burle di un artista che si diverte a far
scervellare gli osservatori. Il movimento surrealista, negli anni '20
del secolo scorso pose l'attenzione sulle vere potenzialità creative
dell'inconscio, quell'abisso della mente umana teorizzata da Sigmund
Freud, criticando la razionalità cosciente e dando il giusto spazio
al mondo onirico che la società moderna sembrava aver dimenticato,
un modo per rappresentare la realtà frammentaria (o forse, un
frammento di realtà) di quel “grand siècle” che fu il '900.
L'illusione positivista di un mondo oramai totalmente compreso
dall'uomo decade con l'arrivo del nuovo secolo, la realtà è un
mistero inconoscibile: le equazioni di Maxwell mettono in ginocchio
tutte le teorie della Fisica “classica” che hanno fornito la
spiegazione di tutti i fenomeni naturali fino a quel momento e Freud,
con la psicanalisi, dimostra che l'uomo non ha certezze nemmeno su se
stesso, tutto è un mistero e ogni tentativo quasi “borghese” di
svelare questo mistero è una pretesa risibile, il “reale” (o il
“fenomenico”, come direbbe Kant) non può essere rappresentato né
tantomeno interpretato, ma se ne può mostrare il mistero
inconoscibile: insinuare dubbi nell'osservatore, questo lo scopo del
“saboteur tranquille”, ossia Renè Magritte.
Troppo spesso si è cercato di
banalizzare la pittura di Magritte con semplici (e semplicistiche)
analisi psicologiche, riconducendo molte trovate pittoriche allo
shock che il pittore ha subito da piccolo per via del suicidio della
madre; Magritte procede per dissociazione, rompe i legami fra
somiglianza e affermazione, far agire l'una senza l'altra e mandare
letteralmente in tilt il senso logico dello spettatore, che rimane
spaesato, ma al tempo stesso meravigliato, dalle opere: merito anche
dello stile pittorico di Magritte, capace di un illusionismo onirico
che riesce a rimanere sempre freddo ed impersonale, capace di
accostamenti incredibili e realtà assurde con una naturalezza ed una
spontaneità tali da rendere il tutto armonioso, merito anche del
raffinatissimo trompe l'œil che egli usa nelle sue tele. Si potrebbe
quasi dire, usando un paragone musicale, che Magritte, crea melodie
meravigliose giocando con le più aspre dissonanze: massi leggeri
come nuvole, cieli diurni che si stagliano su paesaggi notturni e
parti di cielo che si trasformano in uccelli, non c'è la riflessione
“paranoide” di Salvador Dalì o l'esplosione inconscia del
surrealismo di André Breton, è uno sguardo lucido sulla realtà
circostante con la sola esigenza di tradurre in immagine il silenzio
di ciò che ci circonda: il mondo è un mistero indefinibile per
Magritte, un'affermazione che sarebbe sicuramente piaciuta anche a
Giovanni Pascoli.
Meraviglioso, al riguardo, è uno dei più famosi quadri di Magritte, “Gli amanti” dove una coppia si bacia appassionatamente ma i loro volti sono coperti da sudari: dietro il fitto intreccio di morte, impossibilità di comunicazione e maschere che confondono e cambiano i lineamenti (tema ripreso dai libri gialli di cui il pittore era un vorace consumatore) ma ancora una volta torna in auge la questione del visibile e dell'invisibile con questo angosciante bacio nascosto che priva di ogni caratterstica di individualità i due amanti, «un oggetto può implicare che vi sono altri oggetti dietro di esso» scriverà Magritte nel 1929.
Una realtà frammentaria, quindi, o un
frammento di realtà? Del resto la psicanalisi di Freud si configura
come la terza, terribile stilettata alle certezze dell'essere umano:
dopo aver scoperto con Keplero che la terra non è il centro
dell'universo e dopo che Darwin, con la teoria dell'evoluzionismo,
dimostra come l'uomo sia frutto di un'evoluzione casuale, ecco
l'ultima agghiacciante verità, non siamo padroni nemmeno di noi
stessi, non riusciamo a guardare oltre l'abisso oscuro del nostro
inconscio e non riusciamo ad essere nemmeno padroni della nostra
mente.
Certe volte sembra incredibile come
menti tanto simili possano vivere in epoche e contesti diversi,
riuscendo a produrre opere diverse ma con un'affinità
impressionante, la tematica dell'inconscio e della realtà distorta
dalla mente, del sogno e del senso inconoscibile permea la poetica di
uno dei registi più ammirati dell'ultimo ventennio: David Lynch.
Lynch è un artista poliedrico, capace
di destreggiarsi come un funambolo fra scrittura, cinema, pittura e
musica ed il suo stile come regista resta uno dei più apprezzati
dalla critica: Lynch mescola nei suoi film la pratica della
meditazione trascendentale alla lettura rivisitata e corretta dei
concetti della psicanalisi freudiana. Come Magritte anch'egli non
fornisce mai interpretazioni per le sue pellicole, lasciando allo
spaesato spettatore l'arduo compito di trovare il filo di Arianna nei
labirinti che il regista tesse. La cosa che più colpisce delle
pellicole di Lynch è il suo stile narrativo e visivo, il mix di
sequenze oniriche ma al tempo stesso angosciose e la suggestione
delle musiche e dei paesaggi che riescono a dare un tono etereo alla
vicenda: le scene surreali sembrano prese da un sogno ma riescono a
risultare veritiere e tangibili, come se da pittore, Lynch, giocasse
con il trompe l'œil.
Come in una tela di Magritte le scene
sono statiche, silenziose e pervase da un clima a metà fra il
fantastico ed il reale, i colori della cinepresa sembrano quasi
sfumati e l'occhio del regista resta sempre distante ed impersonale
tanto che risulta difficile capire chi è l'eroe della vicenda e per
chi simpatizzare.
È straordinaria la capacità che Lynch
ha avuto nello stravolgere un genere come il film noir e trasformarlo
in un'odissea di una mente, ne è un esempio fantastico il celebre
film “Munholland Drive”, storia di un sogno di una giovane donna,
aspirante attrice, che uccide la propria amante e viene sopraffatta
dai sensi di colpa: la simbologia, l'intreccio e soprattutto
l'oscurità della pellicola fanno letteralmente naufragare nel buio
lo spettatore, che si perde come di fronte alle tele di Magritte: il
sogno penetra e si intreccia con la realtà, gli oggetti del mondo
reale entrano nel sogno e la figura enigmatica del “cowboy” con
il suo sguardo privo di sopracciglia è il tramite fra il mondo
onirico e quello materiale.
Gli echi magrittiani pervadono anche “Strade perdute” , altra pellicola di Lynch: ancora una volta si parte dal genere noir che viene radicalmente stravolto, la storia “reale” sembra fondersi con i processi mentali che il protagonista Fred Madison vive, come in una sorta di nastro di Möbius.
E come non citare la leggendaria serie
“Twin Peaks”? Una tranquilla cittadina americana che nasconde un
mondo oscuro, abitato da doppelgänger, demoni e spiriti, un caso di
omicidio che sembra irrisolvibile e un mistero che diventa sempre più
fitto man mano che si scava
.
Lynch e Magritte giocano sporco, si
appropriano di un linguaggio e di un approccio realista per
descrivere situazioni surreali, in cui il mistero, l'inconoscibile e
l'abisso oscuro della psiche umana si fondono con la dimensione
fenomenica.
Del resto, l'arte è anche questo:
andare a stimolare la mente dell'osservatore e portare una
provocazione capace di smuovere l'animo e la mente dell'uomo che la
vita borghese fa cadere in letargia, Lynch e Magritte mostrano come
la modernità non sia portatrice di certezze e si divertono a
risvegliare lo spirito della curiosità per permettere di esplorare
quella realtà di cui riusciamo a vedere solo una parte.
- P.
PS: non c'è due senza tre ed il quarto
vien da sé, diceva mia nonna... quindi fra poco ci sarà l'ultimo
appuntamento con la serie “Pittori vs. Registi” con un finale in
grande stile!
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