Cari lettori,
anche per quest'anno le festività pasquali sono alle porte.
Tutto lo staff coglie l'occasione per farvi i migliori auguri di buona Pasqua, con l'appuntamento ai prossimi giorni per tanti nuovi articoli e riflessioni.
PS: come non allegare un'immagine artistica agli auguri?
Ecco a voi il polittico Averoldi del Tiziano ( in questi giorni in mostra alle Scuderie del Quirinale), presso Brescia.
AUGURI!!
domenica 31 marzo 2013
mercoledì 20 marzo 2013
Pensieri sparsi dalla lontana pioggia
Piove fuori dalla mia finestra.
Piove fitto e il rumore delle gocce che cadono al suolo rimbomba nel mio orecchio. Riesco a percepire alcune reazioni: gli abeti bevono della regalata freschezza, la rondine trova riparo sotto un comignolo. I passanti si adirano perché non hanno di che coprirsi, mentre una macchina un po’ presuntuosa domina il percorso della strada bagnata.
Apro un libro e incontro il Vate.
Le sue parole si confondono con i suoni che mi arrivano. Le gocce che piovono sulle tamerici sono le stesse che abbeverano i miei fiori e il cielo cimerino è lo stesso che avvolge la mia casa.
Penso.
Oh Ermione, sulle tue mani ignude piove, piove anche sulle tue leggere vesti.
L’acqua modella le forme del tuo corpo e il perlaceo della seta lascia trasparire il tuo cuore di pesca.
Tu sei avvolta e illusa dalla favola bella, mentre la tua complementare creatura celeste ti cinge e si mescola con te e con le tue sensazioni.
Io, nell’intimità delle mie cose, non odo il canto delle cicale o quello del mirto o quello del ginepro.
Sento rumori metallici di macchine in moto, sento musiche lontane, sento voci gridare.
Intorno a me non vedo pini e abeti, ma il loro più triste epilogo: il legno lucido del mio tavolo sostiene i miei pensieri e l’accennato profumo delle sfiorite rose consola la mia solitudine.
Con me non vi è amico: posso pensarlo e vederlo in fotografia, o sentire la sua falsa voce al telefono.
Le mie mani non si stringono dolci ad altre, sui miei cigli non pendono gocce di rugiada, ma cupe preoccupazioni.
Tu, Ermione, non piangi di tristezza, ma di piacere. Le tue lacrime si confondono con le gocce di pioggia, ma l’altra tua anima le riconosce e le colleziona.
Vi rifugiate in ogni spazio, la natura aiuta il vostro incontro, la bella favola vi illude entrambi.
Non più di carne e di sangue siete fatti, ma di mandorle e di erbe.
Guardo le mie mani e vedo uomo, tocco il mio viso e sento pelle.
Ma con me c’è la Parola, c’è il Verso.
Non mi è concesso di assaporare il profumo della pioggia, né di fondermi con la rugiada.
Ma posso rinfrescare i miei pensieri con le Rime, le mie mani possono trasformarsi in tamerici, la mia casa si muta nel pineto.
Ed ecco che il nocciolo del mio cuore vibra all’arrivo della favola bella.
Non odo il canto del ginepro ma i passi di qualcuno che arriva al mio uscio.
Su di noi non scivola pioggia, gli alberi non ci uniscono.
Su di noi, ora, piove Speranza, le nostre anime, ora, sono unite dal Desiderio.
Piove fitto e il rumore delle gocce che cadono al suolo rimbomba nel mio orecchio. Riesco a percepire alcune reazioni: gli abeti bevono della regalata freschezza, la rondine trova riparo sotto un comignolo. I passanti si adirano perché non hanno di che coprirsi, mentre una macchina un po’ presuntuosa domina il percorso della strada bagnata.
Apro un libro e incontro il Vate.
Le sue parole si confondono con i suoni che mi arrivano. Le gocce che piovono sulle tamerici sono le stesse che abbeverano i miei fiori e il cielo cimerino è lo stesso che avvolge la mia casa.
Penso.
Oh Ermione, sulle tue mani ignude piove, piove anche sulle tue leggere vesti.
L’acqua modella le forme del tuo corpo e il perlaceo della seta lascia trasparire il tuo cuore di pesca.
Tu sei avvolta e illusa dalla favola bella, mentre la tua complementare creatura celeste ti cinge e si mescola con te e con le tue sensazioni.
Io, nell’intimità delle mie cose, non odo il canto delle cicale o quello del mirto o quello del ginepro.
Sento rumori metallici di macchine in moto, sento musiche lontane, sento voci gridare.
Intorno a me non vedo pini e abeti, ma il loro più triste epilogo: il legno lucido del mio tavolo sostiene i miei pensieri e l’accennato profumo delle sfiorite rose consola la mia solitudine.
Con me non vi è amico: posso pensarlo e vederlo in fotografia, o sentire la sua falsa voce al telefono.
Le mie mani non si stringono dolci ad altre, sui miei cigli non pendono gocce di rugiada, ma cupe preoccupazioni.
Tu, Ermione, non piangi di tristezza, ma di piacere. Le tue lacrime si confondono con le gocce di pioggia, ma l’altra tua anima le riconosce e le colleziona.
Vi rifugiate in ogni spazio, la natura aiuta il vostro incontro, la bella favola vi illude entrambi.
Non più di carne e di sangue siete fatti, ma di mandorle e di erbe.
Guardo le mie mani e vedo uomo, tocco il mio viso e sento pelle.
Ma con me c’è la Parola, c’è il Verso.
Non mi è concesso di assaporare il profumo della pioggia, né di fondermi con la rugiada.
Ma posso rinfrescare i miei pensieri con le Rime, le mie mani possono trasformarsi in tamerici, la mia casa si muta nel pineto.
Ed ecco che il nocciolo del mio cuore vibra all’arrivo della favola bella.
Non odo il canto del ginepro ma i passi di qualcuno che arriva al mio uscio.
Su di noi non scivola pioggia, gli alberi non ci uniscono.
Su di noi, ora, piove Speranza, le nostre anime, ora, sono unite dal Desiderio.
-Federica
sabato 16 marzo 2013
Friday Boulevard: the best of the week
Salve a tutti cari lettori!
Anche per questa settimana abbiamo appeso al chiodo le scarpe da lavoro, dunque quale miglior modo di rilassarci se non spulciando qua e là tra i vari eventi artistici organizzati in lungo e in largo nella nostra "bell'Italia"?
Se siete nei pressi di Milano, vi consigliamo "Modì tra arte e cinema", un omaggio cinematografico composto da tre pellicole dedicate al più misterioso artista figurativo del primo Novecento, il “pittore maledetto” Amedeo Modigliani. L'evento è proposto dalla Fondazione Cineteca Italiana in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura, Moda, Design del Comune di Milano e si terrà dal 15 al 29 marzo.
Anche per questa settimana abbiamo appeso al chiodo le scarpe da lavoro, dunque quale miglior modo di rilassarci se non spulciando qua e là tra i vari eventi artistici organizzati in lungo e in largo nella nostra "bell'Italia"?
Se siete nei pressi di Milano, vi consigliamo "Modì tra arte e cinema", un omaggio cinematografico composto da tre pellicole dedicate al più misterioso artista figurativo del primo Novecento, il “pittore maledetto” Amedeo Modigliani. L'evento è proposto dalla Fondazione Cineteca Italiana in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura, Moda, Design del Comune di Milano e si terrà dal 15 al 29 marzo.
Se invece respirate l'aria fiorentina, vi consigliamo di visitare i musei a cielo aperto nelle piazze della Stazione e in quella dell'Accademia, che si vestono di Surrealismo: vi sarà infatti un'esposizione dedicata al grande Salvador Dalì. La mostra continua a Palazzo Medici Riccardi, The Dalì Universe Florence, con più di 100 delle sue opere, varca i confini di questa storica sede rinascimentale, per uscire allo scoperto ed accogliere en plein air due sculture di grandi dimensioni del maestro spagnolo del Surrealismo, opere che rappresentano anche due delle icone che gli furono più care.
Per concludere il nostro itinerario artistico, vi deliziamo con una perla egizia: Una squadra di archeologi tedeschi ha rinvenuto a Luxor, l'antica Tebe, un gruppo di 14 grandi statue raffiguranti Sekhmet, antichissima divinità solare zoomorfa. E' stato un evento importante e significativo per la storia dell'arte egizia, che ha il sapore e il gusto del 1200 a.C.
Buon fine settimana!
Buon fine settimana!
giovedì 14 marzo 2013
Fantascienza e Mitologia, pt.1
Scena: un furgone percorre una strada desolata, accosta, ne
scende una ragazza. Si addentra nella sterpaglia a lato della carreggiata, a
cercare un posto per fare pipì. Pochi secondi e la tragedia si consuma alle sue
spalle, con uno schianto. La ragazza rimane paralizzata. Quando osa voltarsi
realizza quello che aveva temuto: il suo fidanzato è sceso a sua volta dal
furgone ed è stato investito.
Questa, fuor di metafora, è stata la scena cardine che ha
dato origine alla riflessione: quanto peso ha il mondo del mito nell’attuale
cinema di fantascienza?
Volendo porla in maniera magniloquente, è come un filo
conduttore che parte dall’antichità e si riversa nei nostri giorni. In fondo,
le tematiche, le idee, le situazioni, l’umanità in sé, sono sempre le stesse da
millenni, è solo l’abito che cambia.
Se coi miti avevamo, un po’ come le parabole evangeliche, esempi
edificanti, volti appunto ad educare o storie senza un’origine certa create per
spiegarsi fatti altrimenti incomprensibili, uno sguardo al passato che serviva
per dare una legittimazione alla vita stessa, nella fantascienza la situazione
è uguale e contraria, con l’unica differenza che la tensione è, almeno nella
maggior parte dei casi, al futuro. Non ce ne vogliano i detrattori, ma dietro
ogni opera sci-fi e ogni mito che si rispetti c’è, anche in piccola parte, un velato
avvertimento, un appello implicito allo spettatore a non ripetere gli stessi
errori che vengono presentati, e questo a prescindere che si stia mostrando una
guerra atomica di dimensioni planetarie, o una maga innamorata che fa a pezzi i
figli per vendicarsi del marito fedifrago.
Tornando alla scena presentata inizialmente, tratta dal film
Womb, il paragone è più una
strizzatina d’occhio: la ragazza che non si vuole voltare per non affrontare la
realtà appare come Orfeo alle porte dell’Ade, che, per portare in salvo la sua
amata morta, deve scortarla fuori dall’Oltretomba senza voltarsi a guardarla. A
prescindere dalla versione del mito a cui fare fede, e quindi a prescindere dal
motivo, Orfeo si volta e la perde per sempre. Ora, è stato lo stesso Benedek
Fliegauf, regista del film, a paragonare la storia a quella del mito, ma la
vicenda è effettivamente simile: due ragazzi si ritrovano dopo anni, e riprendono
la loro tenera storia d’amore, fino alla morte del ragazzo per via di un
incidente; la sua fidanzata decide allora di partorire il suo clone, con
conseguenze immaginabili.
Orfeo ed Euridice |
Orfeo, sentendosi in colpa per aver causato la morte di
Euridice, discende vivo nell’Ade (che, a dirla tutta, nei miti sembra più
popolato da vivi che da morti, vista la quantità di eroi ivi scesi per questo o
quel motivo) . Rebecca, la protagonista del film, decide invece di farsi madre
del suo Tommy, e qui scatta la domanda: lo fa per riaverlo indietro come
persona o come amante? E qui individuiamo il primo sacrificio, essendo la donna
costretta poi a condividere con un’altra l’amato, il quale ovviamente è all’oscuro
di tutto. Vediamo infatti la madre/fidanzata che, sebbene non presenti segni di
invecchiamento (essendo interpretata sempre dalla stessa Eva Green) , pare
spegnersi di giorno in giorno via via che il suo bambino cresce e diventa un
uomo. Un invecchiamento tutto mentale, reso nella sempre più debole vitalità
della donna, che alla fine non fa che dormire tutto il giorno, alla sua
espressione, che da compiaciuta che era mentre osservava crescere il suo
bambino, diventa totalmente distaccata dal mondo terreno una volta che questi è
adulto. Un’insostenibile consapevolezza di aver tentato contro l’opinione di
tutti e aver fallito, comprendendo solo alla fine che il suo gesto è stato una
mera, egoistica follia della scienza.
Rebecca non potrà più avere Tommy come amante ma, al
massimo, come figlio. Anche Orfeo non potrà più avere la sua Euridice viva e
felice come una volta, dopo che questa ha conosciuto l’eterno buio infernale,
come ha già fatto notare Cesare Pavese, secondo il quale il mitico cantore si
volta di proposito, avendo compreso come l’amata sia simbolo di un passato
felice ma irraggiungibile, paradossalmente lo stesso motivo per cui è riuscito
a commuovere la regina dell’Inferno, Persefone, facendole ricordare la sua
primavera sulla terra e strappandole il permesso di portare via Euridice. Ella
sembra così avere, per un breve lasso di tempo, l’impressione di venire
nuovamente al mondo, di lasciare quell’utero inconsueto che era l’Inferno, ma
verrà definitivamente condannata, appena a un passo dalla soglia che segnava la
differenza tra la vita e la morte.
Lasciami entrare |
Parimenti, nella cittadina senza nome in cui si muovono i
due protagonisti del film (e pochi altri) , si ha l’impressione di vivere
dentro una gelida placenta. Effettivamente è l’unica location della pellicola,
come l’utero è l’unico ambiente che il bambino conosce fino alla nascita.
Amplissime panoramiche paesaggistiche di ambienti marini riempiono il film, col
colore del mare che riflette quello del cielo, nuvoloso, sereno, tempestoso, a
seconda dell’umore. In effetti è più il paesaggio che parla rispetto all’azione,
più le espressioni del viso rispetto ai dialoghi. Il regista sforna, insomma,
un’opera prettamente estetica, puntando sull’impatto visivo e lasciando le
implicazioni di trama e contenuti semplicemente accennati, lasciandoli indovinare.
Un processo simile si è visto in Lasciami entrare, di Tomas Alfredson, in cui l’azione
è rarefatta e le riprese statiche. Tra l’altro, l’horror svedese condivide col
film di Fliegauf i paesaggi vuoti e freddi, catartici.
Stalker |
A dirla tutta, parlare di fantascienza riguardo a Womb
sembra strano, essendo totalmente privo di effetti speciali, per l’unica
ragione che non servono. Come abbiamo detto, non è mostrato nulla al di fuori
delle conseguenze delle azioni, a discapito delle azioni stesse, le quali, al
massimo, sono mostrate per brevissimi istanti. Una scelta che lo accomuna al Tarkowsky
di Stalker, al limite tra fantascienza vera e propria e dramma in senso stretto,
dramma che ricorre in un altro riferimento importante, quello ai monstra di
senechiana memoria, di cui uno in particolare, l’Edipo, ci interessa da vicino.
Edipo accecato accanto al cadavere di Giocasta |
Nel dramma del poeta latino, così come nel mito, assistiamo
a un’escalation riguardo la presa di coscienza del misfatto, che termina con l’autopunizione
dei due amanti incestuosi, così come nella pellicola vediamo una serie di
piccoli indizi che il redivivo Tommy (il quale, inspiegabilmente, ha memorie
della sua vita precedente) non si spiega e che, una volta connessi, lo portano
a una reazione imprevedibile. E’ una mostruosità (un monstrum, appunto) , come
spesso accade di natura passionale, che di norma una delle due parti caldeggia
e l’altra aborrisce: proprio come succede con Ippolito e la sua matrigna Fedra,
che cerca di sedurlo, come Medea che uccide i suoi bambini innocenti per
vendetta, come Atreo che serve al fratello le carni dei suoi figli.
Dopotutto è l’essere umano a essere coacervo e fautore di
orrori, anche solo involontariamente, o peggio, pensando di agire a fin di bene
o per un semplice tornaconto personale.
Orfeo ed Edipo si pongono in essere come due infelici
paladini agli antipodi: mentre uno riesce a incantare uomini e bestie con solo
la potenza della sua voce, una poeticità portata ai massimi livelli, una sorta
di benedetto dagli Dei che comunque termina la sua vita in una serie di fallimenti
di cui pare semplicemente la vittima, l’altro sembra causare e poi rifuggire un
orrore dietro l’altro, marchiato alla nascita da una maledizione funesta e da
cui non si può scappare.
Il film, come il mito, è infine una lezione sulle
conseguenze di scelte estreme, un tema estremamente attuale. Impossibile non
correre col pensiero alle moderne diatribe sull’aborto, sull’inseminazione
artificiale, sull’eutanasia, com’è impossibile per l’uomo liberarsi dalla domanda
“E se fosse andata in un altro modo?” . La fantascienza cinematografica offre una
soluzione di comodo, tutta in celluloide.
lunedì 11 marzo 2013
Pittore vs. Regista (pt.4): la creazione secondo Michelangelo e Stanley Kubrick
"Non c'è due senza tre ed il
quarto vien da sé": la scorsa volta ci eravamo salutati con
questo proverbio che mia nonna amava ripetere ogni volta se ne
presentasse l'occasione e mi sembra il caso di dire che,
effettivamente, capita proprio al momento giusto!
Dopo tre appuntamenti con questo quarto, ed ultimo, intervento termina la saga di "Pittore vs. Regista", iniziata con Goya ed il cinema "weird" di Yuzna e Merhige e proseguita con le considerazioni di carattere antropologico rapportate al tema della carne umana e del corpo di Francis Bacon e David Cronenberg e con il terzo appuntamento, in cui Renè Magritte e David Lynch hanno messo sottosopra le menti degli spettatori con le loro labirintiche visioni della realtà e della psiche umana. E con l'ultimo appuntamento si conclude in bellezza questo piccolo ciclo di articoli, un titano della pittura dialoga con uno dei più influenti maestri del cinema Hollywoodiano sul delicato tema della creazione umana.
Dopo tre appuntamenti con questo quarto, ed ultimo, intervento termina la saga di "Pittore vs. Regista", iniziata con Goya ed il cinema "weird" di Yuzna e Merhige e proseguita con le considerazioni di carattere antropologico rapportate al tema della carne umana e del corpo di Francis Bacon e David Cronenberg e con il terzo appuntamento, in cui Renè Magritte e David Lynch hanno messo sottosopra le menti degli spettatori con le loro labirintiche visioni della realtà e della psiche umana. E con l'ultimo appuntamento si conclude in bellezza questo piccolo ciclo di articoli, un titano della pittura dialoga con uno dei più influenti maestri del cinema Hollywoodiano sul delicato tema della creazione umana.
Ci sono domande antichissime a cui
l'uomo ha tentato con ogni mezzo di dare una risposta: una di queste
è di sicuro "Chi siamo e da dove veniamo", le religioni,
le filosofie e le varie teorie sull'evoluzione e sull'antropologia
sono congetture ed ipotesi che non riescono ad indagare un mistero
così profondo ed inconoscibile, e piano piano si fa strada
un'angosciosa domanda: siamo forse frutto del caso o magari c'è una
qualche entità che ci ha creato o, per meglio dire, ha accompagnato
il nostro corso evolutivo?
La Bibbia ha cercato di rispondere a
questo quesito sul senso della vita nel libro della "Genesi",
ove si racconta di come Dio creò il cosmo, la terra e tutti gli
esseri viventi, eleggendo l'uomo come creatura fatta a sua stessa
immagine e somiglianza
«il Signore Dio plasmò l'uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e
l'uomo divenne un essere vivente.»
Il concetto più alto della dignità
umana, con Dio che crea l'essere umano a sua immagine e somiglianza,
la bellezza del corpo umano come diretta emanazione e specchio della
spiritualità umana, punto più alto della creazione divina, è alla
base di una delle opere più rappresentative del Rinascimento
Italiano, la "Cappella Sistina" di Michelangelo Buonarroti,
di cui il Vasari scrisse:
«[Nella] creazione di Adamo,
[Michelangelo...] ha figurato Dio portato da un gruppo di Angioli
ignudi e di tenera età, i quali par che sostenghino non solo una
figura, ma tutto il peso del mondo, apparente tale mediante la
venerabilissima maiestà di quello [Dio] e la maniera del moto, nel
quale con un braccio cigne alcuni putti, quasi che egli si sostenga,
e con l'altro porge la mano destra a uno Adamo, figurato di bellezza,
di attitudine e di dintorni di qualità che e' par fatto di nuovo dal
sommo e primo suo creatore più tosto che dal pennello e disegno
d'uno uomo tale»
Sullo sfondo di un'alba (che
simboleggia per il neoplatonico Michelangelo, proprio l'alba
dell'umanità) si stagliano le figure di Adamo e di Dio, il primo
sdraiato su un manto erboso risvegliatosi da un letargico torpore, il
secondo trascinato dagli angeli ed avvolto in un mantello purpureo:
la straordinaria invenzione degli indici alzati, un attimo prima di
toccarsi, rende perfettamente l'idea dell'incontro fra l'umano ed il
divino, non è un caso forse che Adamo sia sdraiato e statico mentre
Dio sia in movimento, per simboleggiare forse sia la benevolenza del
Creatore che va incontro alla sua creatura prediletta sia la potenza
e l'energia di Dio che, con l'imminente contatto degli indici, verrà
trasferita come vitalità all'uomo. Ma l'attesa trepidante rimane
irrisolta, il contatto che non avviene rappresenta anche
l'irraggiungibilità della perfezione divina da parte dell'uomo.
Proprio il gesto semplice dell'indice
che si avvicina al Creatore si ritrova con imbarazzante somiglianza
in uno dei capolavori di Stanley Kubrick, l'epico "2001: Odissea
nello spazio".
Mi sorprendo ancora di come artisti
separati da cinque secoli di distanza siano capaci di esprimere, con
mezzi e formazioni diverse, concetti tanto simili ed arrivare a
creare opere magnifiche e così vicine fra loro: la pellicola di
Kubrick è una favola apocalittica sul destino dell'umanità e dello
sviluppo della tecnologia, un'avventura spaziale, raccontata come un
documentario (anche grazie allo stile realistico ed oggettivo del
regista, merito della sua formazione come fotoreporter) che si
trasforma nella scoperta di se stessi. Il monolite nero (forse un
riferimento alla al-Ḥajar al-Aswad, la Pietra Nera sacra al mondo
islamico?) è un'intelligenza etraterrestre che ha permesso ai
primati che si vedono all'inizio della pellicola di evolversi in
esseri umani, un'analogia con Dio che trasmette la vitalità al
letargico Adamo.
Ma è proprio nel commovente finale che
si realizza il senso di questo viaggio che è molto più di
un'esplorazione spaziale: il protagonista, l'astronauta David Bowman,
dopo un viaggio verso Giove per studiare il misterioso monolite nero
si ritrova catapultato in una misteriosa stanza chiusa arredata in
stile impero, dove trova un letto, un bagno e del cibo necessari a
soddisfare i suoi bisogni primari. Il tempo scorre rapidamente
(un'iperbole temporale tipica del cinema di Kubrick) e Bowman
attraversa in un lampo i vari stadi della sua vita sino ad arrivare
al culmine della sua vecchiaia e, disteso sul letto, vede dinnanzi a
sè il monolite nero.
E qui si assiste, a mio parere ad una
delle scene più profonde, complesse e commoventi della
cinematografia del XX secolo: Bowman con respiro affannoso guarda il
monolite nero che, nella sua indecifrabilità, sembra rispondere allo
sguardo dell'uomo, l'astronauta oramai prossimo alla morte alza il
braccio destro e tende, con le sue ultime forze, l'indice verso il
monolite, come nell'affresco della cappella sistina di Michelangelo e
si rinasce come "starchild", un feto cosmico che osserva,
dallo spazio, la Terra. È curioso far osservare come, al contrario
dell'affresco michelangiolesco, non è la divinità ad avvicinarsi
all'uomo ma è l'essere umano che, stavolta, tende verso non chi l'ha
creato ma chi ne ha accompagnato lo slancio evolutivo ed il cammino.
Questa ultima metamorfosi è
accompagnata dal maestoso tema di Richard Strauss "Così parlò
Zarathustra" che aveva già sottolineato le prime immagini del
film ed in particolare l'evoluzione delle scimmie e conclude, così,
in maniera epica e circolare l'intera pellicola, mostrandoci in meno
di un minuto il nuovo slancio evolutivo e vitale dell'essere umano,
che regredisce allo stato di feto ed osserva dall'alto la sua terra,
diventando quasi un tutt'uno con il suo pianeta ed il cosmo stesso:
l'uomo come parte minuscola, ma al tempo stesso centrale e vitale, di
tutto il creato.
Mi sembra doveroso citare l'ultimo
verso che conclude la "Divina Commedia" di Dante Alighieri, che sembra racchiudere quanto visto finora:
«[...] A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l
velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre
stelle.»
Due visioni diverse, due epoche
lontanissime e due modi di operare praticamente agli antipodi, eppure
il concetto è proprio quello di un'entità benevolente che ha
accompagnato da sempre l'umanità nel suo cammino, un gesto di amore
che non ci rende più frutto del caso.
- P.
venerdì 8 marzo 2013
Friday Boulevard: best of the week
Molti dei nostri "followers" - si dice così? - conosceranno ormai il nostro interesse verso il mondo della musica, per cui apriamo il secondo Friday Boulevard di marzo con la notizia della pubblicazione di un libro di Pietruccio Montalbetti (per chi non lo sapesse, chitarrista storico dei Dik Dik) sulla sua amicizia col compianto Lucio Battisti, di cui proprio tre giorni fa ricorreva l'anniversario della nascita.
Una notizia ghiotta ghiotta viene invece da Mountain View: è appena stata lanciata una nuova piazza virtuale d'arte su Google, inaugurando il primo appuntamento un paio di giorni fa. Tante lezioni, tavole rotonde e incontri sono in programma. Se vi siete persi il primo, segnatevi il secondo appuntamento, mercoledì 20 marzo, sul nudo femminile nell'arte.
Ci lascia un altro grande della Settima Arte: Damiano Damiani si è spento ieri a Roma. Tra i suoi film, Il rossetto, Quien sabe? e soprattutto Il giorno della civetta, tratto dall'omonima opera di Sciascia. Ultimamente lo ricordiamo per i suoi lavori in campo televisivo e nel genere che potremmo definire b-movie.
Altri grandi personaggi ci lasciano anche al di là della Manica: le collezioni di Sir Denis Mahon, storico e critico d'arte, scomparso nel 2011, sono state formalmente consegnate alla Gran Bretagna, per la storica, inusuale e gloriosa clausola che i musei che le ospitano rimangano gratis per tutti. Una decisione da imitare, possibilmente, e finanze permettendo.
Una notizia ghiotta ghiotta viene invece da Mountain View: è appena stata lanciata una nuova piazza virtuale d'arte su Google, inaugurando il primo appuntamento un paio di giorni fa. Tante lezioni, tavole rotonde e incontri sono in programma. Se vi siete persi il primo, segnatevi il secondo appuntamento, mercoledì 20 marzo, sul nudo femminile nell'arte.
Ci lascia un altro grande della Settima Arte: Damiano Damiani si è spento ieri a Roma. Tra i suoi film, Il rossetto, Quien sabe? e soprattutto Il giorno della civetta, tratto dall'omonima opera di Sciascia. Ultimamente lo ricordiamo per i suoi lavori in campo televisivo e nel genere che potremmo definire b-movie.
Altri grandi personaggi ci lasciano anche al di là della Manica: le collezioni di Sir Denis Mahon, storico e critico d'arte, scomparso nel 2011, sono state formalmente consegnate alla Gran Bretagna, per la storica, inusuale e gloriosa clausola che i musei che le ospitano rimangano gratis per tutti. Una decisione da imitare, possibilmente, e finanze permettendo.
giovedì 7 marzo 2013
L'altra faccia dell'Arte : John Everett Millais
Cari lettori, oggi con questo intervento si apre un nuovo ciclo di articoli, volti a proporvi un'altra faccia della storia dell'arte, quella che molto spesso viene messa in ombra dai grandi mostri sacri. In queste pagine si presenteranno opere sconosciute ed artisti minori che hanno contribuito in ogni caso ad accrescere il nostro patrimonio artistico.
Oggi si parla di John Everett Millais (pittore vittoriano noto soprattutto per la sua Ophelia, nda) e del suo Compianto.
- L’artista assiste il compianto di una giovane ragazza (1847)
- John Everett Millais;
- Olio su tavola,
- 18,7 x 25,7 cm;
- Londra, Tate Gallery.
-Federica
lunedì 4 marzo 2013
Pittore vs. Regista (pt.3): Renè Magritte dialoga con David Lynch
« Le immagini vanno viste quali sono,
amo le immagini il cui significato è sconosciuto poiché il
significato della mente stessa è sconosciuto. » (R. Magritte)
Alle vole l'arte sembra quasi prendersi
gioco di noi: ci sono artisti che, con le loro opere, sfidano le
nostre capacità di interpretazione e i nostri sensi, l'arte si
trasforma quasi in una sorta di “gioco mentale” in cui non si
riesce a capire se c'è un significato più profondo ben nascosto o
si assiste solo alle burle di un artista che si diverte a far
scervellare gli osservatori. Il movimento surrealista, negli anni '20
del secolo scorso pose l'attenzione sulle vere potenzialità creative
dell'inconscio, quell'abisso della mente umana teorizzata da Sigmund
Freud, criticando la razionalità cosciente e dando il giusto spazio
al mondo onirico che la società moderna sembrava aver dimenticato,
un modo per rappresentare la realtà frammentaria (o forse, un
frammento di realtà) di quel “grand siècle” che fu il '900.
L'illusione positivista di un mondo oramai totalmente compreso
dall'uomo decade con l'arrivo del nuovo secolo, la realtà è un
mistero inconoscibile: le equazioni di Maxwell mettono in ginocchio
tutte le teorie della Fisica “classica” che hanno fornito la
spiegazione di tutti i fenomeni naturali fino a quel momento e Freud,
con la psicanalisi, dimostra che l'uomo non ha certezze nemmeno su se
stesso, tutto è un mistero e ogni tentativo quasi “borghese” di
svelare questo mistero è una pretesa risibile, il “reale” (o il
“fenomenico”, come direbbe Kant) non può essere rappresentato né
tantomeno interpretato, ma se ne può mostrare il mistero
inconoscibile: insinuare dubbi nell'osservatore, questo lo scopo del
“saboteur tranquille”, ossia Renè Magritte.
Troppo spesso si è cercato di
banalizzare la pittura di Magritte con semplici (e semplicistiche)
analisi psicologiche, riconducendo molte trovate pittoriche allo
shock che il pittore ha subito da piccolo per via del suicidio della
madre; Magritte procede per dissociazione, rompe i legami fra
somiglianza e affermazione, far agire l'una senza l'altra e mandare
letteralmente in tilt il senso logico dello spettatore, che rimane
spaesato, ma al tempo stesso meravigliato, dalle opere: merito anche
dello stile pittorico di Magritte, capace di un illusionismo onirico
che riesce a rimanere sempre freddo ed impersonale, capace di
accostamenti incredibili e realtà assurde con una naturalezza ed una
spontaneità tali da rendere il tutto armonioso, merito anche del
raffinatissimo trompe l'œil che egli usa nelle sue tele. Si potrebbe
quasi dire, usando un paragone musicale, che Magritte, crea melodie
meravigliose giocando con le più aspre dissonanze: massi leggeri
come nuvole, cieli diurni che si stagliano su paesaggi notturni e
parti di cielo che si trasformano in uccelli, non c'è la riflessione
“paranoide” di Salvador Dalì o l'esplosione inconscia del
surrealismo di André Breton, è uno sguardo lucido sulla realtà
circostante con la sola esigenza di tradurre in immagine il silenzio
di ciò che ci circonda: il mondo è un mistero indefinibile per
Magritte, un'affermazione che sarebbe sicuramente piaciuta anche a
Giovanni Pascoli.
Meraviglioso, al riguardo, è uno dei più famosi quadri di Magritte, “Gli amanti” dove una coppia si bacia appassionatamente ma i loro volti sono coperti da sudari: dietro il fitto intreccio di morte, impossibilità di comunicazione e maschere che confondono e cambiano i lineamenti (tema ripreso dai libri gialli di cui il pittore era un vorace consumatore) ma ancora una volta torna in auge la questione del visibile e dell'invisibile con questo angosciante bacio nascosto che priva di ogni caratterstica di individualità i due amanti, «un oggetto può implicare che vi sono altri oggetti dietro di esso» scriverà Magritte nel 1929.
Una realtà frammentaria, quindi, o un
frammento di realtà? Del resto la psicanalisi di Freud si configura
come la terza, terribile stilettata alle certezze dell'essere umano:
dopo aver scoperto con Keplero che la terra non è il centro
dell'universo e dopo che Darwin, con la teoria dell'evoluzionismo,
dimostra come l'uomo sia frutto di un'evoluzione casuale, ecco
l'ultima agghiacciante verità, non siamo padroni nemmeno di noi
stessi, non riusciamo a guardare oltre l'abisso oscuro del nostro
inconscio e non riusciamo ad essere nemmeno padroni della nostra
mente.
Certe volte sembra incredibile come
menti tanto simili possano vivere in epoche e contesti diversi,
riuscendo a produrre opere diverse ma con un'affinità
impressionante, la tematica dell'inconscio e della realtà distorta
dalla mente, del sogno e del senso inconoscibile permea la poetica di
uno dei registi più ammirati dell'ultimo ventennio: David Lynch.
Lynch è un artista poliedrico, capace
di destreggiarsi come un funambolo fra scrittura, cinema, pittura e
musica ed il suo stile come regista resta uno dei più apprezzati
dalla critica: Lynch mescola nei suoi film la pratica della
meditazione trascendentale alla lettura rivisitata e corretta dei
concetti della psicanalisi freudiana. Come Magritte anch'egli non
fornisce mai interpretazioni per le sue pellicole, lasciando allo
spaesato spettatore l'arduo compito di trovare il filo di Arianna nei
labirinti che il regista tesse. La cosa che più colpisce delle
pellicole di Lynch è il suo stile narrativo e visivo, il mix di
sequenze oniriche ma al tempo stesso angosciose e la suggestione
delle musiche e dei paesaggi che riescono a dare un tono etereo alla
vicenda: le scene surreali sembrano prese da un sogno ma riescono a
risultare veritiere e tangibili, come se da pittore, Lynch, giocasse
con il trompe l'œil.
Come in una tela di Magritte le scene
sono statiche, silenziose e pervase da un clima a metà fra il
fantastico ed il reale, i colori della cinepresa sembrano quasi
sfumati e l'occhio del regista resta sempre distante ed impersonale
tanto che risulta difficile capire chi è l'eroe della vicenda e per
chi simpatizzare.
È straordinaria la capacità che Lynch
ha avuto nello stravolgere un genere come il film noir e trasformarlo
in un'odissea di una mente, ne è un esempio fantastico il celebre
film “Munholland Drive”, storia di un sogno di una giovane donna,
aspirante attrice, che uccide la propria amante e viene sopraffatta
dai sensi di colpa: la simbologia, l'intreccio e soprattutto
l'oscurità della pellicola fanno letteralmente naufragare nel buio
lo spettatore, che si perde come di fronte alle tele di Magritte: il
sogno penetra e si intreccia con la realtà, gli oggetti del mondo
reale entrano nel sogno e la figura enigmatica del “cowboy” con
il suo sguardo privo di sopracciglia è il tramite fra il mondo
onirico e quello materiale.
Gli echi magrittiani pervadono anche “Strade perdute” , altra pellicola di Lynch: ancora una volta si parte dal genere noir che viene radicalmente stravolto, la storia “reale” sembra fondersi con i processi mentali che il protagonista Fred Madison vive, come in una sorta di nastro di Möbius.
E come non citare la leggendaria serie
“Twin Peaks”? Una tranquilla cittadina americana che nasconde un
mondo oscuro, abitato da doppelgänger, demoni e spiriti, un caso di
omicidio che sembra irrisolvibile e un mistero che diventa sempre più
fitto man mano che si scava
.
Lynch e Magritte giocano sporco, si
appropriano di un linguaggio e di un approccio realista per
descrivere situazioni surreali, in cui il mistero, l'inconoscibile e
l'abisso oscuro della psiche umana si fondono con la dimensione
fenomenica.
Del resto, l'arte è anche questo:
andare a stimolare la mente dell'osservatore e portare una
provocazione capace di smuovere l'animo e la mente dell'uomo che la
vita borghese fa cadere in letargia, Lynch e Magritte mostrano come
la modernità non sia portatrice di certezze e si divertono a
risvegliare lo spirito della curiosità per permettere di esplorare
quella realtà di cui riusciamo a vedere solo una parte.
- P.
PS: non c'è due senza tre ed il quarto
vien da sé, diceva mia nonna... quindi fra poco ci sarà l'ultimo
appuntamento con la serie “Pittori vs. Registi” con un finale in
grande stile!
venerdì 1 marzo 2013
Friday boulevard: best of the week
Marzo è arrivato e speriamo si porti dietro anche un po' di Primavera! Ma bando alle ciance, passiamo alle notizie di questa settimana.
La notizia che più mi ha colpito è stata quella di un mercato dell’arte che cresce del 36% all’anno. Cina? India? No, Repubblica Ceca: è stato battuto all'asta il dipinto "The Shape of Blue", di Frantisek Kupka, del 1913 al prezzo di 57 milioni di corone, pari a 2,2 milioni di euro. Un mercato che sembra si stia assestando!
Mi ha fatto molto piacere poi, la notizia che gli scritti del Codice Arundel che sono ora disponibili online grazie al lavoro svolto dalla British Library di Londra, rendendo così alla portata di un click studi di fisica, meccanica, ottica, geometria euclidea e architettura illustrati attraverso annotazioni e disegni per mano di Leonardo da Vinci.
Tornando in Italia invece, la buona notizia è un accordo tra Linea d'Ombra e Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna per una mostra che porterà a Palazzo Fava - Palazzo delle Esposizioni dall'8 febbraio al 25 marzo 2014 la rassegna al centro la cosiddetta «Gioconda del Nord», ossia la «Ragazza con l'orecchino di perla» di Vermeer. Un'occasione unica per ammirare da vicino un simile capolavoro!
Per concludere, Ettore Scola presenta 'Un americano a Roma', film che inaugura il ciclo Magnifico Albertone, curato da Francesco di Pace, un omaggio di Rai Tre a dieci anni dalla scomparsa dell'attore.
Vi auguro un buon week-end e vi aspetto a lunedì con un nuovo articolo!
- P.
La notizia che più mi ha colpito è stata quella di un mercato dell’arte che cresce del 36% all’anno. Cina? India? No, Repubblica Ceca: è stato battuto all'asta il dipinto "The Shape of Blue", di Frantisek Kupka, del 1913 al prezzo di 57 milioni di corone, pari a 2,2 milioni di euro. Un mercato che sembra si stia assestando!
Mi ha fatto molto piacere poi, la notizia che gli scritti del Codice Arundel che sono ora disponibili online grazie al lavoro svolto dalla British Library di Londra, rendendo così alla portata di un click studi di fisica, meccanica, ottica, geometria euclidea e architettura illustrati attraverso annotazioni e disegni per mano di Leonardo da Vinci.
Tornando in Italia invece, la buona notizia è un accordo tra Linea d'Ombra e Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna per una mostra che porterà a Palazzo Fava - Palazzo delle Esposizioni dall'8 febbraio al 25 marzo 2014 la rassegna al centro la cosiddetta «Gioconda del Nord», ossia la «Ragazza con l'orecchino di perla» di Vermeer. Un'occasione unica per ammirare da vicino un simile capolavoro!
Per concludere, Ettore Scola presenta 'Un americano a Roma', film che inaugura il ciclo Magnifico Albertone, curato da Francesco di Pace, un omaggio di Rai Tre a dieci anni dalla scomparsa dell'attore.
Vi auguro un buon week-end e vi aspetto a lunedì con un nuovo articolo!
- P.
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