Sono ormai finite la vacanze di Natale
e da più di una settimana ognuno è tornato alla propria
occupazione (con qualche chilo in più). Anche noi del blog, dopo
gite fuori porta (come ha fatto Federica) o abbuffate epiche (come,
invece, ho fatto io) abbiamo finito le nostre ferie: innanzitutto
colgo l'occasione per ringraziare tutti i visitatori, in circa
quattro mesi abbiamo superato le 3000 visite, che dire... Grazie di
cuore a quanti apprezzano il nostro operato ed il nostro impegno!
C'è una cosa che, però, mi ha
lasciato particolarmente stupefatto: delle oltre 3000 visite circa
900 le ha ricevute il mio articolo in memoria del maestro diTerracina, Osvaldo Paniccia. Pur non essendo proprio un genio della
matematica, risulta piuttosto facile accorgersi che, sostanzialmente,
circa un terzo delle visite che il nostro blog ha ricevuto le
dobbiamo tributare al “monarca assoluto della pittura” (volendo
fare una citazione biblica «Date a Cesare quel che è di Cesare»)...
Vi svelo un piccolo segreto del blog: mentre i due tecnici continuano
a fare tranquillamente il loro lavoro, fra Federica, Raffaela e me
vige una piccola tradizione, ci piace fare a gara a chi ha l'articolo
più visitato, chi vince ha in cambio stima ed ammirazione. Fino a un
mesetto fa eravamo tutti alla pari, ma poi il sottoscritto ha
pubblicato quell'encomio funebre e la classifica attualmente mi vede
vincitore senza speranza di recupero da parte delle mie due colleghe
(vi voglio bene comunque, ragazze). Voglio essere sincero,
teoricamente oggi avrei dovuto dedicare il mio articolo alla terza
parte del confronto fra i pittori e i registi, inaugurato con Goya ed
il cinema Weird e proseguito con Cronenberg e Bacon, ma all'ultimo
momento ho deciso di spostarmi da quanto concordato e di fare una
delle mie tipiche “alzate di ingegno”(rimando il terzo
appuntamento della serie “Pittori vs. Registi” ad un'altra
volta).
Il maestro Teomondo Scrofalo brinda con noi |
Abbiamo già parlato, in uno dei nostriprimi articoli, dell'inarrivabile Andrea Diprè, avvocato,critico
d'arte, talent scout (playboy e filantropo... oh no,aspettate, quello
era un altro!) e un mese fa abbiamo dedicato un articolo al fiore
all'occhiello delle scuderie di Diprè, Osvaldo Paniccia (pace
all'anima sua): sappiamo che il Dott. Avv. Prof. Andrea Diprè sta
spopolando nel mondo del web (e con lui, tutti i suoi “artisti”),
ma nel web c'è anche una quantità impressionante di siti e blog
dedicati a tutta quella produzione (cinematografica, musicale,
artistica o di oggettistica) che può essere considerata, in una sola
parola, “brutta”, o anche “trash” come direbbero gli Inglesi
che significa, appunto, spazzatura. Sembra proprio che la cultura
underground di internet nutra una vera e proprio culto verso «le
buone cose di pessimo gusto» (come direbbe Guido Gozzano) ed il
successo che ha avuto il mio articolo per il maestro Paniccia mi ha
spinto a dedicare questo intervento di oggi ad alcune considerazioni
sulla storia e sul concetto stesso di “kitsch”.
Il termine «kitsch» ha origini
tedesche che sta ad indicare, in generale, tutto ciò che può essere
considerato di pessimo gusto: spesso è stato associato all'idea di
una degradazione dell'arte, riferendosi con esso a tutta quella
produzione artistica svenevole, frivola e patetica, che non
presentava quegli aspetti di originalità e creatività propria
dell'arte “autentica”. Volendo essere più precisi ecco cosa si
trova scritto nell'Enciclopedia Treccani sotto la definizione di
kitsch:
«... il termine, assunto nel lessico
intellettuale internazionale, passò a indicare quell’aspetto del
cattivo gusto che contrassegna la produzione estetica destinata alle
attese dell’uomo medio della civiltà contemporanea.»
Non è tanto il “cattivo gusto” a
rendere un oggetto kitsch, ma è più il suo “spirito”, l'idea
dietro la sua creazione: un prodotto nasce da un'idea e da
un'aspettativa che si ha dietro questa idea, un oggetto di pessimo
gusto è frutto, magari di una produzione povera o “casereccia”,
l'oggetto kitsch no invece, esso ha la pretesa ridondante di
autenticità e di rispetto dei valori formali ed estetici, quando
invece è tutto frutto di una mera scopiazzatura.
In campo artistico ciò si traduce come
una degradazione dei più importanti temi sociali, familiari e
religiosi che, perdendo la loro carica “problematica”, si
trasformavano in semplici “luoghi comuni”: da qui, parte il
nostro viaggio alla scoperta del kitsch nelle varie epoche e nelle
varie arti. Sorvolando la speculazione filosofica sul concetto di
“estetica” iniziato da Kant, il termine «kitsch» fa, per la
prima volta, la sua comparsa nel 19° secolo, su un saggio di Clement
Greenberg in cui definisce i movimenti di avanguardia e del
modernismo come i migliori mezzi per resistere alla cultura del
consumismo e quindi della produzione kitsch. Già dall'inizio
dell'Ottocento molta produzione letteraria era dedicata al consumo,
libri frivoli e leziosi che degradavano il concetto stesso di
“Romanticismo”, privandolo di quella tensione al sublime e
rendendolo solo un sinonimo di sentimentalismo esasperato, fra gli
esempi più famosi si può vedere il famoso “romanzo d'appendice”,
di cui una delle più famosi autrici fu Carolina Invernizio. La
Invernizio vanta un “corpus letterario” notevole, che farebbe
impallidire anche il più prolifico degli scrittori, questi romanzi
che le portarono notevole fama si basavano su una pallida ed
inaridita scopiazzatura di tutti quei temi che animavano la cultura
“alta” (primi fra tutti le idee del Verga e di Fogazzaro), ma
proprio l'appiattimento di queste tematiche le rendeva dei banali
clichè, dei semplici luoghi comuni.
Volendo essere un po' cattivelli si
potrebbe dire che da una costola della Invernizio prese vita tutto
quel filone di produzione letteraria che oggi ha portato ad autori
come Federico Moccia o Fabio Volo di pubblicare i loro romanzi e di
avere successo: volendo gettare un rapido occhio critico alla
produzione letteraria di Moccia si vede subito come il mondo dei
giovani (un microcosmo che nasconderebbe infinite sfaccettature e
problemi) sia trattato con una superficialità e con una banalità
che rendono uno spunto, potenzialmente interessante, una storiella
d'amore scialba e frivola.
Con l'avvento del cinematografo l'estetica kitsch va ad infilarsi anche nel mondo del cinema, dove cambia nome e si fa chiamare “cinematografia trash” (o b-movies, per i più anglofoni). Si tratta di tutti quei film dove, per mancanza di budget, si ricorre ad attori al limite dell'amatoriale e ad effetti speciali che suscitano scoppi incontenibili di ilarità; molte volte dietro il dilettantismo si può nascondere anche una buona idea (per chi frequenta questo ambiente, basta vedere un film qualsiasi del leggendario Ed Woodd), altre volte invece si tratta solo di plagi malriusciti che puntano a sfruttare il successo di film molto più famosi sperando di imbrogliare qualche spettatore meno avveduto. Alle volte i registi, consapevoli di non girare “Via col vento” sfruttavano un'arma a costo zero che poteva ribaltare le sorti di una pellicola, trasformando un b – movie in un piacevole visione, l'autoironia: se anche questa veniva a mancare e c'era, anzi, la pretesa di star girando un capolavoro o la convinzione di essere dei visionari Stanley Kubrick squattrinati ,nascevano i film definiti “trash” che, per paradossale che possa sembrare, fanno ancora più ridere di quelli in cui era stata aggiunta una sana dose di ironia!
Con l'avvento del cinematografo l'estetica kitsch va ad infilarsi anche nel mondo del cinema, dove cambia nome e si fa chiamare “cinematografia trash” (o b-movies, per i più anglofoni). Si tratta di tutti quei film dove, per mancanza di budget, si ricorre ad attori al limite dell'amatoriale e ad effetti speciali che suscitano scoppi incontenibili di ilarità; molte volte dietro il dilettantismo si può nascondere anche una buona idea (per chi frequenta questo ambiente, basta vedere un film qualsiasi del leggendario Ed Woodd), altre volte invece si tratta solo di plagi malriusciti che puntano a sfruttare il successo di film molto più famosi sperando di imbrogliare qualche spettatore meno avveduto. Alle volte i registi, consapevoli di non girare “Via col vento” sfruttavano un'arma a costo zero che poteva ribaltare le sorti di una pellicola, trasformando un b – movie in un piacevole visione, l'autoironia: se anche questa veniva a mancare e c'era, anzi, la pretesa di star girando un capolavoro o la convinzione di essere dei visionari Stanley Kubrick squattrinati ,nascevano i film definiti “trash” che, per paradossale che possa sembrare, fanno ancora più ridere di quelli in cui era stata aggiunta una sana dose di ironia!
Carrellata di alcuni dei più micidiali film "trash" |
Questo vale anche per le arti visive, naturalmente. Partendo dal leggendario Teomondo Scrofalo (la famosa tela venduta da Ezio Greggio durante “L'asta tosta” al Drive-in) la tradizione pittorica del kitsch è basata sempre sulla degradazione di opere famose che diventano di un linguaggio accessibili a tutti e che ha la sola funzione di arredare, ed è qui che arriva il nostro ineguagliabile Andrea Diprè! Fondamentalmente quelle pitture che egli presenta, altro non sono che sfoghi al pari di un hobby di persone normali, galvanizzate dall'aspettativa di una carriera nel mondo dell'arte queste persone arrivano a pensare “Dunque io sono un artista!” e la pretenziosità della loro aspirazione cozza tremendamente con le loro brutte pitture, facendo salire iperbolicamente il livello di kitsch. Ovviamente il caso più famoso è quello del maestro Paniccia, un anziano signore che probabilmente dipingeva per passione e senza nessuna aspettativa, magari fino a due anni fa nessuno avrebbe voluto un quadro del genere in casa e magari sarebbe stato perfino un regalo poco gradito per alcuni, adesso invece Paniccia, dopo la sua serena dipartita, è stato eletto a leggenda della pittura, permettendo a Diprè di pubblicare questo su Twitter.
Volendo spezzare una lancia in suo favore, si potrebbe dire che la produzione kitsch è immediatamente comprensibile: la cosa rende quindi possibile la loro fruizione a chiunque, i concetti descritti non nascondo nulla e la loro banalità, il messaggio va diretto dal produttore all'osservatore, l'interpretazione è già veicolata nel messaggio (il medium È il messaggio!). Al riguardo scrive Milan Kundera:
« Nel regno del Kitsch impera la
dittatura del cuore. I sentimenti suscitati dal Kitsch devono essere,
ovviamente, tali da poter essere condivisi da una grande quantità di
persone. Per questo il Kitsch non può dipendere da una situazione
insolita, ma è collegato invece alle immagini fondamentali che le
persone hanno inculcate nella memoria […] un mondo dove la merda è
negata e dove tutti si comportano come se non esistesse. Questo
ideale estetico si chiama Kitsch. [...] Il Kitsch elimina dal proprio
campo visivo tutto ciò che nell'esistenza umana è essenzialmente
inaccettabile»
C'è però un ultima aspetto che reputo
molto preoccupante, fra gli studiosi del rapporto fra arte e società
e delle problematiche legate al concetto di kitsch c'era anche
Hermann Broch che ha coniato il termine “kitsch – mensch”,
ossia “uomo kitsch”, prodotto di una società in cui alla
mancanza di valori etici di base si tenta di sopperire con
l’esaltazione di valori estetici facili e fittizi.
Non vorrei essere troppo pessimista... ma non vi sembra una situazione fin troppo
attuale?
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