martedì 15 gennaio 2013
Le conseguenze di un lavoro che non (ap)paga
C’è chi lo fa per la pura necessità, c’è chi lo pratica con passione, c’è chi lo fa per tenersi occupato: in ogni caso tutti noi, oggi, ci confrontiamo con il lavoro, qualsiasi esso sia.
Quello che andremo ad analizzare oggi è un tema complesso e allo stesso tempo delicato, specialmente rapportato all’ultimo periodo: è ben evidente quanto il problema della disoccupazione e della conseguente crisi economica sia sulla bocca di tutti.
Prima di iniziare la mia trattazione mi preme precisare al lettore che, in questo breve saggio, non si parlerà né di politica né ci saranno toni polemici: tra le righe si potrà leggere qualcosa di più umano rispetto alle solite cifre dello spread, qualcosa più vicino alla nostra sfera emotiva la quale anche nelle testate giornalistiche più famose si affronta raramente : l’atteggiamento dell’uomo di fronte al problema di un lavoro che non (ap)paga.
Quando si parla di sentimenti ci stacchiamo dalle categorie spazio-temporali e ci immergiamo in una dimensione più generale.
L’uomo, o meglio, la sua più intima ed emotiva parte è sempre la stessa, magari accresce o diminuisce in sensibilità, ma le inquietudini, le gioie e le sensazioni rimangono invariate qualsiasi sia il momento storico o il luogo in cui si trova.
Ecco perché ho deciso di iniziare il mio discorso sin dai tempi antichi, durante i quali l’uomo si è mobilitato per trovarsi un’occupazione, un’attività che possa impegnarlo nell’arco della giornata ed aiutarlo economicamente a sostenere i bisogni della sua quotidianità.
Ma oltre alla funzione “pragmatica", al "labor" si accosta anche quella della “humanitas”. Per meglio spiegarmi, mi piace riprendere il titolo di un'opera scritta nel 1486 da Pico della Mirandola e riproporvelo sotto la lente del tema di oggi: “Oratio de hominis dignitate”.
Quest’opera si riferisce alla potenza e al primato dell’intelletto, che per l’umanista rendeva l’uomo rispettabile, mentre per noi moderni è proprio il lavoro a darci dignità.
Grazie alla retribuzione possiamo garantire infatti un futuro migliore sia a noi stessi che alla nostra famiglia, possiamo considerarci realizzati e soddisfatti, sebbene l’attività lavorativa non manchi né di impegno né di dedizione (d’altronde la stessa etimologia di “labor” è “fatica”).
In ogni caso, “l’insoddisfazione segue l’ambizione come un’ombra” diceva Haskins e quindi sentire lamentele su quanto il proprio impiego sia stressante e/o al di sotto dei propri sogni è abbastanza ricorrente nelle conversazioni tra noi “esseri imperfetti”.
Ora però vi invito a fermarvi un attimo a pensare come si sente un disoccupato, magari una famiglia che non ha di che mangiare perché entrambi i genitori sono stati licenziati, o un giovane pieno di grinta che non riesce a trovare lavoro e quindi non può realizzare le sue giuste aspirazioni.
Ponete attenzione al differente umore di come deve sentirsi un uomo, quando la sera, tornando a casa dopo aver lavorato anche pesantemente sa di aver adempiuto alle proprie responsabilità , ovvero immaginare le sensazioni, i sentimenti, la preoccupazione forse anche la depressione di chi è stato costretto a passare la giornata a casa non per inerzia ma per una obbiettiva difficoltà generale di una onesta ricollocazione in un nuovo ambiente di lavoro.
La sicurezza e l’affermazione di sé come Uomo si sgretola davanti all’assenza di un lavoro, l’immagine che si proietta davanti a noi è quella di un fallimento, è quella di una coscienza che si abbandona al nichilismo.
La frustrazione è una conseguenza logica ed immediata di questa triste condizione: fiumi di parole sono stati scritti per cercare un rimedio a questa angoscia e altrettante macchie di colore sono servite per rappresentare lo stato d'animo e il pensiero di artisti che si rapportano al problema: di seguito vi propongo una carrellata di immagini rappresentative di figure che si confrontano con il tema dell'articolo, mentre altre vi suggeriscono la dedizione a quel lavoro che nobilita l’esistenza.
In conclusione, quella che viviamo oggi non è una realtà solo nostra: tanti prima di noi hanno combattuto contro il proprio tempo per trovare un giusto equilibrio, per sentirsi Uomini degni, per tornare a casa stanchi e per trovare ogni sera, sulla propria tavola, un tozzo di pane frutto del sudore della loro fronte.
E' quello il lavoro che appaga. E' quello il risultato che tutti vorremmo. E' quello di una Nazione come la nostra, che vanta una Costituzione che si apre con l’articolo 1 che recita "l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro".
Questo è quello a cui tutti noi aspiriamo poichè l’unica cosa che (ap)paga.
-Federica
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