lunedì 21 gennaio 2013

Andy Wahrol: quando l'arte incontrò il rock

Andy Wahrol: più che un artista, una vera e propria icona, tanto che a volte si è soliti far coincidere il concetto ed il movimento della cosiddetta "Pop-Art" con la sua persona. Si pensa subito ai suoi ritratti di Marylin o alla zuppa Campbells', spesso ignorando l'incredibile quantità di porgetti che Wahrol ha portato avanti durante la sua carriera: fu regista, attore, direttore della fotografia, sceneggiatore, montatore, produttore cinematografiche, produttore discografico e conduttore televisivo! La cosa che, però, mi ha sempre stupito di Andy Wahrol è stata la sua straordinaria capacità di contestualizzarsi, di inserirsi in un momento storico ed economico, quello del "boom economico" del secondo dopoguerra: non solo fu in grado di fornire una lettura della nuova epoca e del nuovo contesto sociale, ma fu amico di tutte le celebrità e dello star system americano ed internazionale dell'epoca.


Wahrol riuscì ad imprimere un'impronta indelebile nella sua epoca, spaziando in moltissimi campi: è stato molto attivo nel campo musicale, in veste di sceneggiatore di video musicali, artista per le copertine, ritrattista e manager, fu lui a scoprire il gruppo di Lou Reed e a proporsi come manager, produttore ed artista, imponendo anche la presenza di Nico nel gruppo, quasi per dare una chance in più alla band. Lavorò con i Rolling Stones e frequentava Mick Jagger e Keith Richards. Ha lavorato anche come ritrattista per i più affermati artisti del periodo, come Elvis e i Beatles, inserì un ritratto di Michael Jackson sulla copertina del Times all’ uscita dell’album Thriller e fino al giorno della sua morte si dedicò all’attività discografica (negli anni ’80 supportò oltre a Jackson anche Prince, Sting e i Duran Duran che erano il suo gruppo preferito).È stato anche fondatore della Factory, luogo in cui giovani artisti newyorkesi potevano trovare uno spazio collettivo per creare: qui sono nati o passati per un breve periodo altri famosi personaggi come Jean-Michel Basquiat, Francesco Clemente, Keith Haring. Nel 1980 fonda una televisione dal nome "Andy Warhol's TV", in cui negli anni successivi trasmetterà anche esibizioni dei suoi pupilli Duran Duran, gruppo che sosterrà sino al giorno della morte. Confesserà sui suoi diari: "Amo Nick Rhodes, è un genio. Ogni notte mi masturbo guardando i video dei Duran!".


Wahrol fu capace di legare la sua arte a tutti gli altri campi, o forse sarebbe meglio dire che applicò il suo concetto di arte a tutti i campi: a metà degli anni sessanta l'affermarsi dell'arte informale porta anche le copertine dei vinili a sfruttare per la loro immagine i materiali e gli oggetti del quotidiano, trasformando appunto il musicista in idolo e se stessa in mito. Nelle gimmick cover, notiamo il parallelismo dell’affermarsi di tali copertine con l’evolversi della scena artistica pop. Questo legame è rinsaldato dalla presenza in campo musicale di Andy Warhol, artista di punta della scena pop-art che si è anche cimentato con pregevoli risultati nel campo della grafica musicale: l’artista, di origini cecoslovacche, ma residente a New York, collaborò in maniera strettissima con i Velvet Underground di Lou Reed. I Velvet suonavano alla Factory e Warhol organizzava gli spettacoli di suoni, luci e proiezioni cinematografiche... questo è quanto scrisse Alberto Arbasino nel 1967: "Warhol, lo si vede generalmente di sera in uno dei suoi locali, salacce yèyè che gestisce e lancia col suo complessino The Velvet Underground (sulla scia dei Rolling Stones, ma piú accalorati e frenetici) e la cantante Nico, e proiezioni allucinatorie psichedeliche alle pareti, delicate e coloratissime (e sconvolgenti: qualcuno si sente male) magari con riflettori azionati da Benedetta Barzini. Poi Warhol abbandona, questi locali, come ha fatto col Dom per trasportarsi al Gymnasium, magari abbandonando anche il suo nome: proprio vendendolo al locale, che comincia a chiamarsi Andy Warhol. Cosí come per firmare i suoi quadri chiamava qualcuno (la firma è un feticcio ...) e gli faceva scrivere 'Andy Warhol' in un angolo. Ha capelli quasi bianchi, un nasetto spugnoso, emana dei riflessi d'argento, e parla talmente piano che non si capisce quasi niente. L'età, non si sa ...". Warhol girò anche dei filmati con i Velvet Underground e curò diverse loro copertine, tra le quali la più nota è senza ombra di dubbio "The Velvet Underground & Nico" del 1967. Questa copertina rispecchia in pieno il connubio pop-art e musica, infatti su un fondo completamente bianco giganteggia una banana gialla disegnata nello stile dell’artista cecoslovacco. Un’opera d’arte donata alla musica? Non solo. La cover infatti riportava di fianco alla punta della banana la dicitura: "Peel Slowly and See" (sbucciare lentamente e osservare), un’indicazione che faceva notare come la banana fosse in realtà un adesivo applicato sulla copertina, levato il quale appariva una psichedelica banana rosa appunto sbucciata, con chiare implicazioni sessuali. 


Le “gimmick cover” avevano la particolarità di utilizzare materiali tratti dal quotidiano come tessuti, metalli e cartonati particolari. In questo specialissimo filone va inserita la famosa copertina di “Sticky fingers” dei Rolling Stones, realizzata da Craig Braun su concept e foto dell'artista pop Andy Warhol già cover artist per i Velvet Underground di Lou Reed. Teoricamente la copertina avrebbe dovuto mostrare un barattolo di latta contenente delle dita femminili immerse in un liquido simile a catrame (“Sticky Fingers” significa appunto “Dita Appiccicose”), tant’è che il mercato spagnolo ricevette l’album in questa forma; tuttavia Warhol disse a Richards che la copertina gli sembrava poco adatta alla musica degli Stones e si offrì di cambiarla. La nuova copertina mostra un primo piano di un paio di jeans all'altezza dei genitali (questa visione scatenò lo sdegno di moltissimi negozianti che si rifiutarono di esporre l’album sui propri scaffali) e la particolarità di questo artwork è rappresentata dalla zip applicata sulla fotografia: questa zip infatti è una vera cerniera lampo, che, abbassata, mostra con “sfacciataggine” gli slip del modello fotografato (che era il noto sexy-attore Joe D’Alessandro dello studio di Warhol, anche se per molto tempo circolò la diceria che il pube fotografato fosse quello del cantante e frontman degli Stones, Mick Jagger).


Questo strato sottostante al di là di una curiosa finzione creativa, aveva anche una importante funzione protettiva;la zip infatti rischiava di graffiare il vinile contenuto all'interno (precisamente all'altezza della traccia “Sister Morphine”) e lo strato degli slip permetteva di proteggere il disco da eventuali danni. Warhol infatti aveva collegato le dita appiccicose all’atto della masturbazione e così stravolse l’assetto grafico dell’album, sostenendo che la vecchia copertina non avrebbe mai fatto parlare di sé e non sarebbe stata ricordata (al contrario di quanto sarebbe invece accaduto per la nuova), Keith Richards e Mick Jagger si dimostrarono subito entusiasti del lavoro dell’artista newyorchese. La copertina di "Sticky Fingers" è ricordata dai fan della band britannica anche per un altro accorgimento grafico, in quanto sul retro compariva per la prima volta la celebre linguaccia rossa che diverrà icona degli Stones, simbolo creato su proposta dello stesso Warhol.
Ad un mondo affamato di immagini Warhol dispensa il pane quotidiano, senza dimenticare di porre inquietanti note sulle conseguenze di questo sovraccarico: l’indifferenza, la perdita della memoria, la consumazione e la noia. È questo il destino dei miti come Elvis, Marylin o Marlon Brando, entrare nell’immaginario collettivo con un solo volto ed un solo sorriso, rimbalzati dai media fino a creare uno stereotipo di cui è impossibile liberarsi. Ma così come per "gli eroi dei tempi moderni" un destino analogo tocca agli oggetti, in un qualche modo anche essi elevati a "miti di un'epoca" e a status-symbol, e questo è stato il destino delle due gimmick-cover: elevarsi dallo stato di oggetto e trasformarsi in un pezzo d'arte prodotto in serie e destinato al consumo e al mito moderno.


«Un artista è uno che produce cose di cui la gente non ha bisogno ma che lui – per qualche ragione – pensa sia una buona idea dargli.»   -   Andy Wahrol

                                                                                                  - P.

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