Sono già reduci da svariati
successi in campo cinematografico, quando, nel 1998, Joel ed Ethan Coen presentano
Il grande Lebowski: sceneggiatori, registi, montatori, i fratelli di origine
ebraica colpiscono sempre e comunque il bersaglio, entrambi conosciuti per
rifuggire le luci della ribalta e le analisi, le discussioni più approfondite.
I Coen, infatti, si pongono in
luce come consumati mestieranti della settima arte, senza pomposità, convinti
che il tocco dell’autore possa rifuggire a ogni classificazione e
ingabbiamento. Un comportamento e un modo di fare molto simile ai nostri
classici registi neorealisti: i loro film, in maniera pura e semplice,
raccontano storie degne di essere narrate, nulla più, ma la differenza la fa il
come sono narrate.
In realtà c’è ben altro dietro,
ma, portandola sul piano della diatriba tra alta letteratura (e cinema, di
conseguenza) e letteratura di genere, sappiamo come la prima rifugga
volontariamente alle “limitazioni” , se vogliamo definirle, della seconda, per
orientarsi più verso la ricercatezza formale, per la complessità, se vogliamo,
a discapito del tema, delle situazioni che possono o meno interessare un certo
tipo di pubblico. Tralasciamo qui le annose discussioni sull’argomento e passiamo
alla pellicola.
Jeffrey “Drugo” Lebowski, un
simpatico nullafacente devoto solo al bowling, riceve la visita di alcuni
sconosciuti che esigono il pagamento di una somma di denaro. Appare subito
chiaro che c’è stato un caso di omonimia con il magnate Jeffrey Lebowski, a cui
Drugo si rivolge per farsi risarcire il tappeto su cui i creditori hanno
orinato per abbozzare la mala figura fatta. Qui Drugo capisce che i debiti sono
stati contratti dalla giovanissima moglie del signor Lebowski, Bunny, che viene
infatti rapita poco dopo. Drugo e i suoi due amici vengono assoldati per
consegnare il riscatto e riprendere la ragazza ma, convinti che sia tutta una
messinscena della donna per estorcere soldi al marito e scappare con un
(presunto) amante, mandano all’aria l’operazione. Nel mentre Drugo fa la
conoscenza della figlia di Lebowski, Maude, con cui ci saranno dei risvolti
sentimentali, e di un impresario dell’industria pornografica.
Il film segue, in definitiva, un
intreccio poco lineare e non convenzionale: molteplici linee narrative nascono
e terminano, unite solo dalla figura centrale di Drugo. Gli stessi personaggi
entrano in gioco in modo tutto nuovo ed estremamente realista, tratteggiando
anche quelli apparentemente marginali con incisività. Sembra quasi di entrare
nel mondo di Drugo, e dalla sua visuale vediamo i due amici di sempre entrare
in scena quasi in sordina, in media res, come se ci fossero sempre stati,
mentre Maude Lebowski, per fare un esempio, fa la sua entrata in scena nuda e a
mezz’aria.
La fotografia e le riprese seguono
lo stile dei Coen, come già abbiamo visto in Arizona Junior, Fargo e
vedremo in Fratello, dove sei? : i
colori vividi la fanno da padrone, e perfino le scene notturne sono
caratterizzate da una luce particolare, come succede anche nelle successive opere
di Tarantino, che d’altronde non ha mai smentito i suoi debiti nei confronti
dei fratelli. I Coen si deliziano in inquadrature particolari, come le
panoramiche fisse piene di personaggi che dialogano (eccoti un altro richiamo a
Tarantino) o, come già succedeva in Arizona
Junior, riprese ai limiti dell’acrobatico e del surreale: memorabili quella
dall’interno della palla da bowling, le riprese vertiginose dal basso (che
ricordano le riprese metropolitane di John Landis) , quelle dei trip di Drugo,
con il volo notturno sulla città pullulante di luci o l’intermezzo Gutterballs,
con il protagonista che scivola rasoterra, estasiato, sotto un tunnel di gambe
femminili.
Certamente la recitazione ha contribuito
molto a tutto questo: il cast presenta una gran quantità di artisti che sanno
il fatto. Steve Buscemi, nelle parti di Donny, un compagno di gioco del
protagonista, fa la parte del perfetto ragazzone timido, ingenuo e mai
completamente cresciuto, certamente a disagio tra le due forti personalità di
Drugo (Jeff Bridges) e il grande e grosso Walter (John Goodman) , entrambi
reduci a modo loro dal Vietnam. Se, come abbiamo capito già dal nome, Drugo è
un ex-figlio dei fiori, i cui ideali storici si riversano nella logica attuale
del prendi-la-vita-alla-leggera, Walter è un ex militare incavolato, armato e
potenzialmente pericoloso. Ma con simpatia. Dopotutto anche il peggiore
criminale, visto dagli amici, è una persona a modo. Il gioco delle parti però
continua con gli altri personaggi: nonostante siano dipinti a tutto tondo,
assumono l’aspetto grottesco, talvolta, di macchiette, e sembrano essere tutti
in un certo senso antitetici tra loro, tutti frammenti dello stesso specchio,
quello della curiosa società anni ’90 (di cui abbiamo già parlato in questo
blog) .
Quello che accomuna i due Lebowski, per fare un esempio, è solo il
nome, quando nella vita hanno seguito sentieri totalmente agli antipodi: uno
quello del successo economico, l’altro quello del distacco dal mondo,
dell’emarginazione. Ancora peggio è la figlia Maude (una stranissima Julianne
Moore) , che sembra disapprovare tutto e tutti, completamente concentrata su sé
stessa, la sua arte e i suoi obiettivi: vedremo che deciderà di concepire un
figlio ex abrupto, senza chiedere niente a nessuno, nemmeno al padre del
bambino. Anche le figure marginali del padrone di casa timido e amante dei
musical, del giocatore di bowling pedofilo e ampiamente ambiguo, di un
improbabile Saddam Hussein dietro al bancone degli scarpini da bowling sono
riferimenti fin troppo evidenti: abbiamo una dissacrante critica degli ideali
di ogni colore e tipo: vediamo il trio dei “nichilisti” (tra cui Flea e Aimee
Mann) che al grido di “Noi non crediamo in niente!” fanno a pezzi decenni di
pensiero sinistroide, ma anche la fissità, morale e fisica, del ricco signor
Lebowski, bravo solo a inveire dalla sua sedia a rotelle, finta peraltro.
E’ una critica anche
metacinematografica, con lo stravolgimento, come dicevamo, di ogni genere:
l’opera varia dal noir, alla commedia, al drammatico, al comico, senza
soluzione di continuità, anzi, sembra quasi che alla fine tutto rimanga in
sospeso e a fine visione abbiamo l’impressione di aver semplicemente assistito
a una sequela di fatti incredibili, uno spaccato di quella che è la vita di
Drugo, che difatti sembra essere l’unico a non rimanerne minimamente toccato.
La sua vita continua tranquilla come una partita di bowling, tra un White
Russian e uno spinello, senza che, fondamentalmente, nulla sia cambiato.
Certo,
un amico gli è morto, ma con grande spirito comico (letteralmente alla Stanlio
e Ollio) , Drugo (e per lui i Coen) riescono a sdrammatizzare anche lo
spargimento delle sue ceneri, raccolte in un barattolo di gelato e che
finiscono per riversarsi addosso a Walter. Il motivo? Vento contrario.
La colonna sonora è, ovviamente,
legata a filo doppio agli anni ’70, al country e al southern rock d’annata: i
Creedence Clearwater Revival la fanno da padrone, oltre a colonne sonore
storiche di Piero Piccioni e Debbie Reynolds, e un’interessante ed eloquente
sottolineatura musicale del cantante country Kenny Rogers, con la sua
malinconica, ma scattante Just Dropped In,
oltre agli Eagles in salsa Gipsy Kings.
-R.
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