Esistono film che a volte si perdono nel tempo. Può succedere che si perdano nel senso letterale del termine, come è avvenuto a molte, troppe opere a cavallo delle due guerre, come ad esempio Il fantasma del castello, celebre film (all’epoca) di Tod Browning, di cui non esistono più copie. Altre volte succede che grandi successi di una generazione non diventino “classici” , quei film che è quasi una colpa non conoscere, ma semplicemente perdono via via successo, rimanendo relegati all’epoca di riferimento.
Il caso de La corona di ferro è abbastanza peculiare: pellicola presentata nel 1941, si tratta di un vero e proprio kolossal (ossia, una grande produzione cinematografica) , approvata da Benito Mussolini in persona. La cosa è strana, considerando che il film presenta una morale di fondo decisamente pacifista, sebbene assolutamente slegata dai concetti di democrazia nel senso contemporaneo del termine, trovando nel genere fantasy un modo per conciliare questo apparente dissidio.
Luisa Ferida (Tundra) |
C’è da dire che il regista, Alessandro Blasetti, era un dichiarato fascista, come pure la celebre coppia di attori Luisa Ferida e Osvaldo Valente (per la cui vicenda si rimanda ai film Sanguepazzo e Gioco perverso) , oppositori prima, divennero sostenitori della Repubblica Sociale Italiana poi. Mussolini quindi approvò la pellicola del “fascistissimo” regista, sebbene alti capi del nazismo storsero il naso davanti al film. Non faremo, però, sterile critica di ideali o scissione di intenti: così come nel Futurismo, in cui, nonostante il fallimento dei propositi e la soggettiva distanza politica, ci sono comunque elementi innovativi e da apprezzare, Blasetti si è dimostrato, nella sua carriera, un artista multiforme, capace di spaziare tra generi e registri diversissimi, e un vero innovatore del cinema italiano, addirittura precursore della corrente Neorealista (con Quattro passi tra le nuvole, 1942), che, è risaputo, è di impostazione marcatamente antifascista, o del genere documentario (con Europa di notte, 1958) . Lo stesso regista non faceva segreto di collaborazioni artistiche con figure diversamente schierate, artisti e addetti ai lavori che boicottavano apertamente il regime, in una visione di apertura e tolleranza.
C’è sempre una certe reticenza a parlare di queste figure artistiche associate al Fascismo: come accade con D’Annunzio, di solito la soluzione è citare l’adesione come fosse un particolare marginale, o magari non parlandone affatto, come se si trattasse di una velata censura.
In verità, specie nel caso di Blasetti e D’Annunzio, risulta un po’ difficile evitare l’argomento: Blasetti è il “Vate” in campo cinematografico del Duce. I suoi primi film furono infatti una serie di opere celebrative delle opere e degli ideali fascisti: Sole, del 1929, sulla bonifica dell’Agro Pontino, Terra madre, del 1931, sulla politica ruralista di regime, 1860, del 1934, sullo sbarco dei Mille, pellicola, questa, apologetica e celebrativa quanto l’Eneide, ma al contempo dissonante, con il suo taglio populista, a voler dimostrare l’intento del regista di pacificazione delle classi sociali.
Gino Cervi (Sedemondo) ed Elisa Cegani (Elsa) |
Equilibrato quanto poliedrico, Blasetti fu per questo “graziato” dopo la caduta del regime fascista (ma aiutò molto anche la mancata adesione alla RSI, in un destino opposto ai due citati Valenti e Ferida) , continuando a essere ammesso e ascoltato nel dibattito artistico quanto in quello politico: moltissimi registi, infatti, hanno ammesso di averlo ammirato e di averne preso spunto, tra i quali Steno, Amedeo Nazzari, Marcello Mastroianni, Mario Monicelli, Gino Cervi.
Proprio il famoso interprete del Commissario Maigret e del personaggio di Peppone compare ne La corona di ferro nelle vesti dell’antagonista, ruolo alquanto insolito per Cervi.
Massimo Girotti (Arminio) |
Il plot è alquanto semplice all’apparenza. In una terra non ben identificata due popoli si scontrano. Il vincitore tende la mano al vinto, ma, un attimo prima di suggellare la pace, viene ucciso da suo fratello Sedemondo (Cervi) , che si proclama re, negando l’accordo appena fatto e facendo schiavo il popolo nemico. Alcuni, tuttavia, riescono a fuggire sulle montagne, dove la regina dà alla luce una bambina, Tundra (Luisa Ferida, che interpreta anche la regina) . Sulla strada del ritorno, Sedemondo incrocia poi una spedizione di cavalieri che scorta la celebre Corona di ferro, reliquia che ospita al suo interno un chiodo usato per crocifiggere Gesù, e se ne impadronisce. Qui compare una misteriosa vecchina, che sostiene che laddove la Corona si ferma riporta pace e giustizia, profetizzando al re che sua moglie e quella di suo fratello morto avranno due figli, destinati ad amarsi, e il loro amore sarà la causa della sua rovina. Per scongiurare la profezia, Sedemondo cerca di distruggere la Corona, ma gli risulta inspiegabilmente impossibile, tanto da spingerlo a gettarla fuori dal regno, alle gole di Natersa. La Corona, misteriosamente, viene inghiottita dalla terra. Tornato a casa, scopre che effettivamente sono nati due principini, decidendo di crescerli come fratelli per evitare che si possano amare. Anni dopo scopre che in realtà quello che credeva suo figlio era suo nipote: le madri hanno infatti scambiato i bambini in culla. Adirato, fa gettare il bambino, Arminio (Massimo Girotti) nella Fossa dei Leoni, ma la vecchina fa sì che perda la memoria. Divenuto grande, Arminio, cresciuto come un selvaggio, ma forte e buono, incontra Tundra e l’aiuta a liberare il suo popolo, ignaro di tutto. Intanto Elsa (Elisa Cegani) , figlia di Sedemondo, languisce in una torre, in attesa che un pretendente vinca la sua mano in torneo. Neanche a dirlo, dopo una serie di intrighi e combattimenti rocamboleschi, sarà proprio Arminio a vincere la giostra, sentimentalmente diviso tra le due donne. Elsa, scoperta la verità, si sacrifica per l’amato e per Tundra, permettendo il loro amore, la pace tra i due popoli e il miracoloso ritrovamento della Corona, che, ristabilita giustizia, può riprendere il suo viaggio.
L'alcova di Elsa ricorda molto la stanza della protagonista della Bella Addormentata |
Già dalla trama si desumono svariati elementi presi in prestito dalle mitologie e dalla letteratura di tutto il mondo: prima di tutto quella collaterale alla cristianità, quale l’evidente rimando alla Corona ferra del Sacro Romano Impero; quelle pagane, nella scena dei leoni che riconoscono Arminio nella fossa del torneo, che rimanda al racconto di Aulo Gellio presente in Noctes Atticae sul leone che riconosce l’uomo che l’ha curato anni prima, e nella figura di Arkas, arciere infallibile, esattamente come Teucro, personaggio dell’Iliade; il fratricidio, che rimanda all’Enrico VI di Shakespeare; la maga travestita da vecchina con il fuso che ricorda Perrault e la sua Bella Addormentata, la cui protagonista, che dorme in una torre da anni e anni ricorda la prigionia di Elsa, che vive rinchiusa in stato quasi comatoso. Inoltre, i due fratelli (che sono in realtà cugini) che si innamorano, ricordano vagamente il mito di Edipo e Giocasta, perlomeno nella resa filmica della scoperta.
Tutto questo porta a pensare a una vasta ricerca semantica, che si tramuta in un intreccio fitto e denso di significati, seppure all’apparenza di una semplicità che sfiora il già-visto: le coordinate geografiche non chiare, la figlia del re promessa in sposa, il re cattivo e despota, sono tutti luoghi comuni fiabeschi, ma qui interpretati in una luce tutta nuova e non scontata, tutto per merito della recitazione eccelsa. I grandi nomi già citati, accanto a Paolo Stoppa e Rina Morelli, grandi attori teatrali, sanno come destreggiarsi tanto bene nelle vesti medievali e in maniera così naturale da evitare quella patina di solenne che spesso si riscontra in questo genere di narrazione e che risulta spesso troppo marcata. Per fare un paragone in letteratura, si avverte molto di più la vicinanza allo stile da spaccato di vita di George R.R. Martin che non a quello epico di Tolkien.
La scena di Girotti nella fossa con i leoni fu girata usando una tecnica simile al moderno Green Screen |
C’è da dire che Blasetti non era nuovo ai film in costume, né con questo si è risparmiato. Tuttavia, le cifre parlano di circa 14 milioni di lire, una somma ingente, che Blasetti dovette ammortizzare girando poi subito dopo La cena delle beffe, riadattando cast, costumi e scenografie alla bisogna.
A tal proposito, lo scenografo in questione è Virgilio Marchi, che aveva già collaborato col regista in più d’un’occasione e che era vicino al Futurismo: s’intravede infatti nella sua opera un certo geometrismo latente.
Le scene appaiono molto curate: da un lato notiamo inquadrature speculari, perfettamente simmetriche, dall’altro scene di grande profondità ed equilibrio, come quelle iniziali di battaglia o quelle a corte, in cui i personaggi e gli elementi della scenografia sono disposti in un ordine rigoroso e immediatamente percepibile (non a caso Blasetti era conosciuto per questa sua maniacalità, specie con le comparse) .
Notevole il montaggio, specie nelle scene d’azione, veloce e preciso. Una delle pecche del film sembra essere però il ritmo altalenante e una sorta di “salti” di trama che possono confondere lo spettatore. C’è da dire che è un elemento fiabesco molto comune lo scorrere meraviglioso del tempo, ma si nota un ritmo incalzante nella prima metà del film (in cui infatti cronologicamente passano anni) , per divenire poi molto più descrittivo e intricato verso il finale.
Può questo miscuglio pan-mitologico essere il fulcro di una proposta di pace e sovversione della tirannia? Probabilmente sì, anche se vedremo che a fine film, nonostante tutto, verrà ristabilito comunque un erede al trono e quindi una monarchia, cosa che al giorno d’oggi risulta contraddittoria, fuori dall’ottica del fantasy. D’altro canto, anche altre opere di legittimazione di svariati re e imperatori, a cominciare dalla citata Eneide, alla Gerusalemme liberata, presentano trame simili, eroiche, allineate al bene, ma che in fin dei conti nascondono tutte il medesimo intento. Del resto non sempre parole come “tirannia” , “monarchia” hanno avuto un’accezione negativa.
-R.
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