Regia: David Twohy
Paese: USA
Anno: 2000
Sceneggiatura: Jim e Ken Wheat
Fotografia: David Eggby
Genere: Fantascienza
In un futuro non meglio specificato, un’astronave con a bordo un gruppetto di passeggeri di svariata natura precipita su un planetoide non identificato. Costretti a collaborare più o meno volontariamente per cercare una via di fuga, i “naufraghi” si imbattono in una specie aliena assetata di sangue da cui devono difendersi: queste poche righe basterebbero per liquidare Pitch Black come il classico b-movie fantascientifico con annessi e connessi mostri aberranti in CGI.
Paese: USA
Anno: 2000
Sceneggiatura: Jim e Ken Wheat
Fotografia: David Eggby
Genere: Fantascienza
In un futuro non meglio specificato, un’astronave con a bordo un gruppetto di passeggeri di svariata natura precipita su un planetoide non identificato. Costretti a collaborare più o meno volontariamente per cercare una via di fuga, i “naufraghi” si imbattono in una specie aliena assetata di sangue da cui devono difendersi: queste poche righe basterebbero per liquidare Pitch Black come il classico b-movie fantascientifico con annessi e connessi mostri aberranti in CGI.
E invece le cose stanno diversamente e ce ne accorgiamo dai
primissimi minuti: una voce fuori campo, non troppo rassicurante, parla fuori
dal coro, spiegando come stanno le cose e affermando di essere un galeotto, a
differenza degli altri civili suoi compagni d’avventura. Anche se non sappiamo
cos’ha fatto, ci rendiamo subito conto che non è solo a doversi fare scrupoli
morali: il comandante in seconda, svegliata dal sistema di allarme, scopre che
la nave sta per schiantarsi e che, oltretutto, il capitano è morto; con lei si
sveglia un altro membro dell’equipaggio che le impedisce di fare quello che ha
in mente: liberarsi di tutto il carico, passeggeri criogenizzati compresi, per
salvare la nave. O meglio semplicemente la sua vita. In questi pochi minuti
perfino i non appassionati noterebbero la sequenza dell’impatto al suolo,
iperveloce e dal montaggio serratissimo, adrenalinico, il particolare
dell’occhio dilatato della pilota, in un chiaro rimando agli ultimi minuti di
2001: Odissea nello spazio, con tanto di spazio sterminato e abbacinante verso
cui il/la protagonista stanno andando a tuffarsi, più o meno volontariamente.
Latore di un successo insperato per il regista, David Twohy,
già addetto ai lavori in campo sci-fi ma senza troppo successo, e l’attore
protagonista, Vin Diesel, Pitch Black risulta di difficile classificazione ma
di sicuro impatto. D’accordo, c’è da fare i conti con una trama ai limiti del
plagio (opera dei fratelli Wheat, già autori de La mosca II e Nightmare IV) , a
partire dalla saga di Alien, ma occorrono una serie di spunti particolarmente
interessanti. Prima di tutto: il cattivo.
Dopo la visione, ve la sentireste di rispedire Riddick,
Richard B., l’evaso, nel carcere da cui è fuggito? O condannereste il capitano
in seconda per la scelta suddetta? O magari ve la prendereste col cacciatore di
taglie tossicodipendente, l’arcinemico di Riddick, tanto scaltro quanto
ambiguo? C’è poco da distinguere tra buoni e cattivi, qui ognuno fa quello che
crede giusto o conveniente. Abbiamo a che fare con personaggi estremamente
umani e realistici, tanto credibili da farci addentrare e impersonare a fondo
nella trama.
Il gruppetto, come nella migliore delle tradizioni, è a dir
poco eterogeneo: oltre ai soggetti di cui sopra, vediamo un gruppo di muezzin,
un paio di avventurieri e un ragazzino dalla sessualità ambigua. I riscontri si
sprecano: la letteratura, a partire da I racconti di Canterbury, è piena di
mezzi di trasporto “sociali” pullulanti degli individui più disparati. Per
metterla sul piano della settima arte, come ci piace, abbiamo un chiaro esempio
in Ombre rosse, storico film di John Ford con John Wayne, in cui effettivamente
notiamo una situazione affatto simile, compresa la “redenzione” del
protagonista Ringo Kid, un evaso (come i nostro Riddick) .
Distretto 13 |
Ma i riferimenti al Selvaggio West non sono finiti e, anzi,
continuano in un gioco di scatole cinesi: è impossibile non ricondurre questa
pellicola all’abitudine cara a John Carpenter di girare western travestiti,
primo tra tutti Distretto 13, anno 1976. Se lì avevamo una situazione di
desolazione e degrado metropolitano (il deserto) , pullulante di criminali
pronti a tutto (gli indiani) , che uccidono senza farsi udire (il
silenziatore che sostituisce le frecce) , contrastati da uno sparuto gruppo di
poliziotti, civili e detenuti (eccoti un altro riferimento a Riddick) , passati
di lì per puro caso – e il caso la fa da padrone in tutto il film di Twohy - ,
qui abbiamo un deserto vero e proprio, ma alieno, bestie aliene alate,
dall’aspetto simile a mante, che sicuramente non saranno silenziose come gli
indiani e i criminali di Carpenter, ma sono comunque in un certo senso
menomate, essendo cieche e sensibili alla luce, e come abbiamo detto abbiamo un
gruppo di persone costrette a collaborare, perdipiù con poche armi e nemmeno
esattamente all’avanguardia, considerando che il film è ambientato in un
futuro alquanto lontano.
Fantasmi da Marte |
Ombre rosse |
Effettivamente i punti in comune con Pitch Black si sprecano, ma non sarebbe opportuno parlare di plagio o rimandi, quando di un comune attingere alle medesime fonti, di cui abbiamo appena parlato.
Tornando ai nostri naufraghi persi nello spazio, c’è da dire
che tralasciando i cliché eroistici (in verità pochi, nel film) , essi sono
tutti degni di nota; persino le nette dicotomie sono ben studiate, salvandosi
dalla banalità insita in esse: legge contro caos, fede contro scienza,
sessualità contro asessualità. Mentre del primo abbiamo già parlato, per quanto
riguarda la seconda abbiamo accennato alla presenza di un gruppetto di muezzin,
che si distingue per l’imperturbabilità, sfiorante l’ascetismo. Sebbene in
alcuni momenti si cada nell’eccesso di solennità, con la classica snocciolatura
di canoni dogmatici, la figura dell’uomo che non si scompone nemmeno davanti al
massacro dei suoi giovanissimi allievi (e la scena di una bambina uccisa senza
pietà l’abbiamo anche in Distretto 13) è perfino credibile. Questi musulmani
sembrano poter perfettamente conciliare fede e religione, anche se con una
puntina di critica si potrebbe intendere il voler a tutti costi interpretare
ogni cosa sotto il segno di un progetto divino, com’è uso tra i devoti di ogni
credo. Tra gli uomini, oltre alla suddetta coppia fuggitivo-inseguitore, c’è
anche la curiosa figura di un commerciante sarcastico e occhialuto, che sembra più
un contrabbandiere. La scena è contesa inizialmente da due primedonne, ognuna a
modo suo autoritaria: Fry, la pilota, che assume il ruolo, tradizionalmente
maschile, del leader imparziale e carismatico, ricordando molto la Ripley di
Alien, film molto omaggiato qui, mentre Shazza, l’avventuriera, rappresenta
la donna selvaggia, indomita eppur sensuale senza volerlo, una sorta di regina
delle sabbie, perfetta in un ambiente come quello rappresentato. A questo va ad
accostarsi lo strano caso di Jack/Jackie, una ragazzina travestita da maschio,
un po’ come Ed, il/la genietto/a informatico/a dell’anime Cowboy Bebop, uscito
un paio d’anni prima, di cui non si capisce l’identità sessuale finchè un
evento critico non lo rivela. Nel caso di Jackie, è il suo ciclo mestruale che
arriva giusto in tempo per attirare i mostri sanguinari sulle tracce del
gruppo.
In effetti, la spedizione pare avvolta da un’aura di
sfortuna: oltre all’atterraggio non previsto, si ritrovano in uno scenario
desertico - in cui, c’è da dirlo, i derelitti respirano tranquillamente come se
l’atmosfera fosse quella terrestre – e arido, in cui vengono ritrovati un
cimitero degli elefanti (o comunque di enormi animali probabilmente estinti) e
una base di ricerca, in cui viene rinvenuto un modellino dell’orbita del
platenoide su cui sono atterrati. Platenoide che ha tre soli, i quali
congiungono le loro orbite ogni ventidue anni, dando vita a un’eclissi, eclissi
che si manifesterà proprio poco dopo l’atterraggio della nave.
Mad Max |
Dal punto di vista stilistico, se la prima metà del film è,
come Alien, al limite tra fantascienza e thriller, caratterizzata da riprese
abbacinanti e dotate di forte luminosità senza ombre, solitamente
monocromatiche e viranti nei colori del bianco-azzurro e del rosso-arancio (i
colori dei tre soli) , un’azzeccatissima decisione di David Eggby, già direttore
della fotografia in Mad Max (non a caso alquanto simile nella resa e girato
nello stesso set del deserto australiano) , la seconda metà, più violenta, vede
protagonista l’eclissi e l’ascesa delle creature assassine, e prevede quindi
riprese notturne, con pochi punti luce, rappresentanti la salvezza dei
protagonisti (che, comunque, vengono decimati uno ad uno) . Le riprese
oscillano tra panoramiche vertiginose e interni soffocanti, stretti intorno ai
pochi protagonisti e alle creature aliene che rifuggendo la luce si nascondono
nelle cavità del terreno e nelle poche strutture disponibili.
Tra tutti, si aggira la misteriosa figura di Riddick, che per il primo tempo riesce a eludere la sorveglianza e si aggira, silenzioso come un fantasma, tra i rottami della nave in attesa di riparazione e i compagni che vagano sul suolo alieno. Le riprese in cui compare lo vedono apparire come un’ombra, sempre appostato a pochi passi dagli ignari protagonisti, in un tacito patto con lo spettatore, che sa, ma non può dire niente. Sembra quasi che Riddick sia sul punto di guardare in camera e sussurrare “Shhh!” . Le cose però evolvono e, da cattivo come l’aveva fatto apparire il sedicente poliziotto/cacciatore di taglie Johns, comincia a collaborare col gruppo, sfruttando la sua particolare visione notturna, dono, a suo dire, di un medico in carcere. Del passato di Riddick sappiamo poco e nulla, qualcosina la scopriremo dal seguito, Le cronache di Riddick, ma per ora è un semplice fuggitivo, un disperso su un pianeta sperduto e di più non ci interessa sapere.
Sebbene in alcune scene sembri evidente la voluta
sottolineatura della prestanza di Vin Diesel (che diventerà famoso proprio
grazie a questa pellicola) , qui funzionale alla causa, e un temuto
ravvedimento finale del supercattivo (che non avviene, almeno non completamente)
, l’epilogo riesce a riscattare le poche magagne del film, con una battuta
finale che lascia il passo a infinite congetture su come questa storia potrà
proseguire. Il pubblico non ne rimarrà deluso.
Girata in economia, quest’opera si è rivelata al di sopra di
ogni aspettativa: ha il sapore dei b-movie, i classici film di genere, ha quel
senso di già visto che serve a tranquillizzare lo spettatore, ma al contempo
spunti nuovi, interessanti, e a tratti persino innovativi.
-R.
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