«Senza
lo specchio della mente nessuno può vivere una vita umana
di fronte
al sogno meccanizzato del nostro tempo» - Marshall
McLuhan
L'uomo moderno vive di angosce, che si sono fatte strada prepotentemente con la caduta delle certezze del Novecento e che si sono evolute sempre di più nel corso della storia recente. Bisogna chiarire, prima di tutto, che a livello psicologico il termine “angoscia” è ben diverso da quella che comunemente viene chiamata “ansia”, infatti questa è, per paradossale che sembri, un'emozione positiva che avvertiva i nostri antenati l'arrivo di un cambiamento, e li preparava quindi ad affrontarli nel modo migliore possibile. L'angoscia invece è una vera e propria paura e, con tutti gli stereotipi ed i miti da cui siamo bombardati giornalmente, è facile vedere come essa dilaghi fra la popolazione (volendo essere banali, basta pensare all'importanza quasi malata che si dà all'aspetto fisico). L'arte, in tutti i suoi linguaggi, ha captato questa ansia dell'angoscia (perdonatemi il gioco di parole) e non ha fatto altro che analizzare questa situazione dell'uomo moderno e della sua condizione esistenziale a base di sesso, violenza e solitudine, per descriverla, trasmetterla o magari dare un semplice “campanello d'allarme”; esemplare in questo caso è stata la figura dell'artista irlandese Francis Bacon: dublinese di nascita, trapiantato a Londra, omosessuale e con una personalità al limite del “disturbi psichico”, egli rappresenta al meglio la corrente della “nuova figurazione” inglese, nata dalle ceneri del surrealismo con l'intento di analizzare la condizione dell'uomo contemporaneo, dilaniato dalla seconda guerra mondiale e ossessionato dal dopoguerra.
Dice egli stesso «Ho sempre sognato di dipingere il sorriso, ma non ci sono mai riuscito», un pronostico tanto tristo quanto veritiero: ossessionato dalla tematica della malattia, della mutilazione e del disfacimento della carne, le sue opere trasmettono dolore e paura in un “sublime negativo” che rende la figura di Francis Bacon affascinante.
L'uomo non è altro che un animale da macello, un pezzo di carne alla mercè di un mondo senza Dio e senza tregua, le deformazioni delle figure di Bacon non sono solo fisiche, ma riflettono l'anima lacerata e disfatta dell'uomo moderno: un esempio è la manipolazione del ritratto di Innocenzo X, partendo dall'opera “perfetta” del pittore spagnolo Velazquez, Bacon reinterpreta la figura traslandola però nel mondo moderno, poche linee sintetizzano il trono, il rosso della veste lascia il posto ad un angoscioso blu notte e decise pennellate verticali contribuiscono a rendere la scena più deformata ed allucinata, ma ciò che davvero spaventa è il volto del pontefice, dal colore grigiastro e con la bocca aperta in un grido che lo spettatore riesce quasi a percepire, un urlo che ricorda “l'urlo nero” della poesia di Quasimodo e quello della vecchia bambinaia del film “La Corazzata Potëmkin” di Ejzenstejn, sembra quasi di assistere al passaggio del testimone con Munch.
Francis Bacon - Studio su "Papa Innocenzo X" |
Francis Bacon - “Donna che versa una ciotola d'acqua e bambino paralitico che cammina” |
Al centro della ricerca di Cronenberg vi è l'uomo (del resto egli stesso è solito definirsi un “filosofo esistenzialista”), animato dalle sue aspirazioni ma limitato dalle sue appendici patologiche ed animali, una visione del corpo tanto surreale che sembra proprio uscita da uno degli studi di Francis Bacon. In effetti il confronto ha dell'incredibile, osservando le scene di “Videodrome”, capolavoro assoluto di Cronenberg, sembra di assistere alla trasposizione cinematografica della poetica visiva di Bacon, mediata dagli insegnamenti di McLuhan: l'odissea di Max Renn, uomo assolutamente in balia dello strapotere dei mass-media (basta vedere l'angosciante “Chiesa del Tubo Catodico”) subisce nel suo lungo viaggio una serie di mutazioni che lo trasformeranno in “nuova carne”. Renn verrà prima “programmato” tramite l'inserimento di una videocassetta in una ferita pulsante posta all'altezza del suo stomaco, in seguito fonderà la sua mano con una pistola, diventando così una sorta di uomo macchina, prima di poter purificare il suo spirito suicidandosi urlando “Gloria e vita alla nuova carne, morte a Videodrome”.
La pustola pulsante, aperta sull'addome del giovane uomo ricorda in maniera fin troppo evidente la figura della carcassa bovina smembrata presente in moltissimi quadri di Bacon, primo fra tutti il “Dipinto 1946” passando poi attraverso le varie “Crocefissioni” o sugli studi sull'opera di Velazquez, come per Bacon anche per Cronenberg il tema del disfacimento della carne è centrale, per entrambi la malformazione e la deformazione rappresentano il decadimento dell'animo umano. In “Videodrome” la triade del “sesso, violenza e solitudine” alla base della poetica di Bacon sembra ripresentarsi in una versione rivisitata e corretta proprio per lo strapotere della televisione (capace, secondo la trama del film, di trasmettere tumori al cervello allo spettatore), Max Renn è involontariamente protagonista di una “crocefissione mediatica” non molto distante da quelle dipinte da Bacon, una marionetta in balia di forze oscure più grandi di lui che lo porteranno al suicidio, rappresentato come un'esplosione di interiora unita ad una televisione esplosa (ennesimo esempio del connubio uomo-macchina).
Francis Bacon - Dipinto 1946 |
la drammatica sequenza finale di "The Fly" |
Francis Bacon - "Tre studi per figure alla base di una Crocefissione" |
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P.
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