Chiedo scusa ai lettori se, nell'ultimo periodo, c'è stato un po' di disservizio, ma fra parenti ed impegni vari (ossia ESAMI) per noi tre del blog "The Philosopher's Cave" è un periodo davvero pieno, forse dovremmo diventare dei giocolieri per poter riuscire a giostrare meglio le cose da fare! Ma non preoccupatevi, il lavoro continua e presto le famose novità ventilate nell'ultimo mese diventeranno una realtà!
Proprio poco prima di iniziare le "vacanze" mi sono trovato a conversare con una persona che stimo moltissimo su un argomento piuttosto attuale, quello della tecnologia "sociale" e il milione di messaggi di auguri che ho ricevuto a Pasqua ( fra twitter, facebook e messaggi) mi ha ispirato per un articolo un po' diverso: così, solo per oggi, abbandono i panni dell'aspirante critico d'arte e indosso momentaneamente quelli del sociologo spicciolo.
Siamo tutti connessi: è questa una
(triste?) realtà. Volenti o nolenti abbiamo tutti una pagina
facebook, e chi ne è sprovvisto è passato dall'essere “alternativo”
al guadagnarsi il molto meno eroico epiteto di “sfigato”. Se
ripenso al primo computer con Windows 95, che papà aveva portato a
casa meno di 15 anni fa, e ai suoi evidenti limiti sembra assurdo come, oramai, siamo tutti armati di smartphone, tablet e pc portatili,
perfino leggere un libro sta diventando un gesto “vintage” visto
che oramai sono arrivati gli e-book reader!
Facendosi una passeggiata in centro
città si viene letteralmente bombardati da sms, whats'app, tweet,
squilli e messaggi su facebook, sembra quasi che questi mezzi si
siano evoluti fino a diventatare quasi un'estensione del nostro
cervello, una cosa che avrebbe sicuramente affascinato Marshall
McLuhan. Ci sarebbe da chiedersi se questo prepotente ingresso sia
deleterio per le relazioni sociali, visto che oramai anche un gesto
insignificante come un “mi piace” su facebook sembra aver
acquisito un significato più profondo. Proprio qualche sera fa mi
trovavo al pub con alcuni amici ed ho visto un tavolo vicino al
nostro dove 5 ragazzi erano praticamente ipnotizzati dai loro
smartphone e mi sono chiesto: “Ma i social network... Ci renderanno
forse più soli?”. Domanda da un milione di dollari del sabato
sera, probabilmente, ma io credo che aldilà delle frasi fatte e dei
discorsi da moralizzatore ci sarebbe da contestualizzarsi nell'era
della modernità, dove tutto cambia con una rapidità spaventosa e
chi si ferma sembra perduto, come una vera e propria evoluzione
darwiniana tecnologica.
Se noi guardiamo la densità di
comunicazione questa è certamente aumentata e le nuove tecnologie ne
sono state un impulso fondamentale, il problema è nella
“significatività” della comunicazione, cioè quello che ci si
scambia quando si comunica: c'è chi parla di “villaggio globale”
dove però siamo tutti più soli. A mio modesto avviso bisognerebbe
imparare a guardare certe dinamiche con un doppio occhio, uno rivolto
ai processi critici e uno che guarda ai processi positivi della
comunicazione. Forse sarebbe sufficiente mettersi nel “giusto
mezzo” aristotelico, senza vedere la tecnologia come un demone
orribile ma senza neanche farsi assorbire totalmente in essa:
prendendo l'esempio di facebook si nota che questa piattaforma
permetta uno scambio di informazioni notevole, rendendo possibile
l'interazione costruttiva fra due persone geograficamente lontane; e
volendo parlare di “amore ai tempi di facebook” è sicuramente
interessante vedere come questo sia anche diventato uno strumento di
seduzione, capace di far conoscere due persone che, prima, ignoravano
l'una l'esistenza dell'altra. Il problema nasce quando non si capisce
che il mondo virtuale deve essere un tramite per il mondo reale, un
ponte che permette uno scambio che diventi concreto e non rimanga
solo un'interazione fatta di bit: conoscere una persona su facebook,
magari con interessi e passioni molto simili ai nostri è fantastico,
ma se si lascia questa cosa nel virtuale non si potrà fruire di
quanto di più genuino consente l'interazione faccia a faccia... E ci
ritroveremmo soli in un pub a messaggiare con una persona che
potremmo tranquillamente vedere e con cui, magari, prenderci quella
birra che abbiamo ordinato che, di sicuro, avrebbe anche un sapore
meno amaro.
- P.
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