mercoledì 10 ottobre 2012

SettimArte: Lulu, ovvero il Vaso di Pandora.


TITOLO ORIGINALE: Die Büchse der Pandora
REGIA: G.W. Pabst
ANNO: 1929
PAESE: Germania
CAST: Louise Brooks: Lulu, Carl Goetz:  Schigolch, Fritz Kortner: Schon, Kraft Raschig: Rodrigo, Alice Roberts: Contessa Geschwitz, Michael Von Newlinsky: Casti-Piani

Una tragedia greca. Così potremmo definire l’assetto di quest’opera del regista Georg Wilhelm Pabst: la prima cosa che salta all'occhio è, infatti, la divisione in atti numerati.
Già il titolo ha un valore profetico e simbolico. Lulu, una delle prime femme fatale della storia del cinema, appare come novella Pandora, anche troppo tenera e ingenua e, sebbene donna di costumi alquanto libertini. riesce a catturare tutte le simpatie del pubblico.
Il vaso, per l’appunto, compare fin dall'inizio. Non è un caso che difatti molta parte sia data all'arredamento.
Essendo un film totalmente rientrante nel Kammerspiel, ciò è normale –vedremo spesso sculture, quadri, addirittura un candelabro a 7 bracci- ma vedremo come vasi di ogni tipo faranno la loro inquietante presenza per tutta la pellicola. Il vaso come contenitore di ogni disgrazia: questa, fuor di metafora, è la funzione di Lulu, summa e origine inconsapevole di tutti i mali, ma anche, infine, della speranza, l’ultima, che, in una visione simbolica della vita, è la Donna come Madre.
La nostra protagonista entra quasi subito in scena, caratterizzata dalla particolare fotografia, che la ritrae col viso senza ombre e in contrasto cromatico netto con l’acconciatura a caschetto, divenuta poi famosa, ad esempio mediante l’eroina per eccellenza di Guido Crepax, Valentina, il cui aspetto e modo di fare ricalca molto quello della protagonista del film, sebbene la controparte cartacea della diva risulti ancora più smaliziata e noire


Valentina, di Guido Crepax.

Lulu e Schigloch



La vediamo anche subito correre, quasi danzare, come se si trovasse in un prato o su palcoscenico. Difatti scopriamo subito che lei ha doti artistiche: è una ballerina, un’attrice, e come spesso succedeva all'epoca  una mantenuta (come appare anche ne La donna di Parigi, pellicola di Chaplin) del magnate Schon. Segue l’entrata in scena del presunto padre, Schigloch, accompagnato da Rodrigo, un losco figuro. La scena è ripresa dalle spalle dei personaggi, dietro un vetro, come già era successo ne L‘ultima risata, Murnau anno 1924: con ciò il regista vuole frapporre un ostacolo tra i personaggi e il pubblico, perché ci sono cose che quest’ultimo non deve sapere. Da notare anche il motivo delle scale, che ricorrerà spesso, le scale come espediente di regia, per l’alternanza chiari/scuri, ma anche come elemento simbolico di annullamento di differenza sociale, nel bene e nel male, elemento presente spesso nelle pellicole di Ejzenštejn, da Sciopero! a La corazzata Potëmkin.

La corazzata Potemkin


Lo sguardo della Contessa
E’ nell'atto II facciamo la conoscenza del figlio di Schon, Alwa, artista, e della contessa Geschwitz, che vediamo impegnati a fumare (come spesso accade nel bianco e nero: il fumo regala luminosità alla resa su pellicola) . Lulu si mostra molto affettuosa con Alwa, che le offre un posto nel suo spettacolo. Questo scatena le gelosie della contessa, di cui, complice uno sguardo di evidente gelosia, percepiamo velatamente l’omosessualità. E’ questo il primo caso di omosessualità portata sul grande schermo, sebbene non trattato in maniera preponderante. I sentimenti della contessa verso Lulu risulteranno poi lampanti in un’altra scena, resi da un particolare molto interessante nella scena delle due donne abbracciate, una bionda vestita di scuro, e l’altra mora vestita di bianco


In altro: Lulu.
In basso: Hellzapoppin 
Atto III: inquadriamo le quinte dello spettacolo, nel caos e nella penombra, in cui vediamo mescolati, in un’ottica che possiamo definire meta teatrale - considerando che si tratta di Kammerspiel - tutti i registri espressivi, come da una fucina: il comico, a partire dall'entrata in scena dei soldati e poi dallo scherzo ad Alwa, il tragico, il drammatico. Una simile operazione sarà effettuata alcuni anni dopo, con altri intenti, nel magistrale Hellzapoppin’

Notiamo subito come il palco e gli spettatori non compaiano mai: si vuole dare importanza infatti a quel che c’è “dietro” , rappresentato dalle quinte e dai camerini. Vediamo ancora le scale, che qui però sono vertiginose, riportando alla mente le oniriche scenografie de Il gabinetto del dottor Caligaris. Notevole la scena degli addetti che trasportano mobili, i quali quasi sembra che debbano bucare la pellicola, dando quindi una tridimensionalità eccezionale alla scena (ricordiamo che è il ’29) . Il tutto rientra nell'ottica di un disordine organizzato: c’è caos, ma ognuno sa esattamente cosa fare e dove andare, se si bada bene. Anche nella scena del ricevimento è presente molta gente, tant'è che assistiamo a un accavallamento di persone di spalle alla quarta parete, in contrasto con le regole del teatro e del cinema dell’epoca, ma è facile notare che sono tutte disposte e sistemate secondo un preciso ordine, le dame vestite tutte in chiaro per esigenze di colore, essendo gli uomini per forza di cose vestiti in nero, indossando il frac. Anche il padre di Lulu, se pure fosse per davvero il padre, non sembra convincente: ogni volta che è in scena con la figlia si teme di stare per assistere a un incesto. Risulterebbe così essere solo uno dei tanti: qualunque uomo vicino a Lulu sembra risucchiato nel vortice della sua inconsapevole seduzione, a cui, purtroppo Schon soccombe. In una scena lo vediamo addirittura piangere: da un lato è ammaliato dalla grazia e dalla bellezza di Lulu, dall'altro è impaurito, quasi atterrito dal potenziale distruttivo che la donna nasconde e che lui ha, evidentemente, intuito.

Nonostante la tragedia che le pende sul capo, però, non rinuncia in nessun modo alla sua vanità: si pettina, si trucca, si fa il bagno (con l’acqua corrente, da che capiamo che è una casa ricca) e legge riviste di moda. Si tratta di una fuga organizzata per permettere a Lulu e Alwa di fuggire insieme, scampando alle accuse infamanti di cui la donna è accusata, ma alla coppia si aggregano anche Schigloch e Rodrigo, che, mediante i loro intrighi, portano i due a bordo di una nave, dove li trascinano nel vortice della perdizione, da cui solo la contessa può salvarli.
Una enorme sala, coacervo di tutti i vizi, le si offre infatti alla vista: si tratta di una bisca clandestina, nascosta nella stiva. Lulu appare con una diversa acconciatura, per simboleggiare il cambiamento di status. Il suo sorriso però è fuggevole: Alwa si è abbandonato al gioco e ha perso tutto. La soluzione è vendere Lulu a un ricco egiziano.


La donna, sempre più sola e disperata, si confida con l’ultima persona adatta al caso, Schigloch, il padre. La scena, quasi un dettaglio procurato dall'incrocio delle assi delle scale, è molto ambigua: capiamo tutti che l’uomo la sta ingannando per l’ennesima volta, dal suo sguardo, ma lei si ostina a fidarsi di lui, addirittura lo implora “Salvami” e si rende finalmente conto che tutto intorno a lei è spinto dall'avidità.
La situazione, subito dopo precipita, tant'è che Lulu e Alwa, aiutati dal padre, devono fuggire precipitosamente su una scialuppa alla volta di Londra.

Ultimo atto: nella nebbia, una silhouette, con cappello. L’Esercito della Salvezza, con la banda che suona, addobba un alberello in strada e distribuisce cibo e doni. Allo sconosciuto si avvicina una donna dai tratti angelici che gli offre aiuto dopo che questi ha fatto la sua offerta, e lo chiama “fratello” , senza neanche conoscerlo. Non sa infatti chi è il misterioso sconosciuto, con cui Lulu si troverà presto faccia a faccia.
Al buio, in una mansarda poverissima e buia, vivono infatti, ormai ridotti a tre, Lulu, Alwa, come impazzito, e Schigloch. 

Il dettaglio del pane, talmente duro da non poter essere neanche tagliato suggerisce una povertà estrema. Nonostante questo, i personaggi non rinunciano ai loro vizi: Lulu addirittura si trucca e si pettina, suggerendo l’idea che possa prostituirsi. Difatti poco dopo esce, al freddo e nella nebbia, il che lascia poco all'immaginazione.

E’ qui che Lulu si mostra generosa fino all'estremo con l’uomo squattrinato incontrato in strada. L’alternanza dei primi piani è altamente simbolica: lei è in piena luce, come trasfigurata, una santa o una martire, l’uomo invece emerge appena dalle tenebre e, cavata di tasca una candela e l’accende e incorona con un rametto di vischio Lulu, che contempla il tutto con infinita tristezza. Quella luce è da un lato simbolo di quell'ultima speranza, che nel mito era rimasta nel vaso di Pandora, la speranza di cui lei è ormai la personificazione. Ha perso tutto infatti, e il gesto dell’uomo di incoronarla con il vischio, che prima cingeva la candela, è chiaro. La scena immediatamente precedente acquista quindi una luce tutta nuova: si tratta del rapporto non tra amanti, ma tra vittima sacrificale e carnefice. La fine ci è lasciata solo immaginare.


La donna, che avevamo visto ingenua, capricciosa, dispensatrice di tutti i vizi possibili (è il film ne è un’escalation, dal sesso, ai soldi, all'alcol) , paradossalmente rimane allo stesso modo intatta e pura, con il suo sorriso angelico, che pur non avendo niente si dona a uno sconosciuto che la tradisce, e che si veste da suo aguzzino finale. Anche se non compaiono madri, il riferimento è chiaro, soprattutto alla fine: le donne che appaiono sono, nonostante tutto, dispensatrici di vita. Sono gli uomini, che hanno il potere, ad uscirne veramente male alla fine della narrazione, mandando a rotoli tutto ciò che c’è di buono, d’incontaminato, e tutto perché non sono mai abbastanza forti da combattere l’influenza negativa di cui Lulu è portatrice sana.

                                                                                                                   - R.







Nessun commento:

Posta un commento