TITOLO ORIGINALE: Die
Büchse der Pandora
REGIA: G.W. Pabst
ANNO: 1929
PAESE: Germania
CAST: Louise
Brooks: Lulu, Carl Goetz:
Schigolch,
Fritz Kortner: Schon, Kraft Raschig: Rodrigo, Alice Roberts: Contessa Geschwitz, Michael Von
Newlinsky: Casti-Piani
Già il titolo ha un valore profetico e simbolico. Lulu, una delle
prime femme fatale della storia del cinema, appare come novella Pandora, anche
troppo tenera e ingenua e, sebbene donna di costumi alquanto libertini. riesce
a catturare tutte le simpatie del pubblico.
Il vaso, per l’appunto, compare fin dall'inizio. Non è un caso che
difatti molta parte sia data all'arredamento.
Essendo un film totalmente rientrante nel Kammerspiel, ciò è
normale –vedremo spesso sculture, quadri, addirittura un candelabro a 7 bracci-
ma vedremo come vasi di ogni tipo faranno la loro inquietante presenza per
tutta la pellicola. Il vaso come contenitore di ogni disgrazia: questa, fuor di
metafora, è la funzione di Lulu, summa e origine inconsapevole di tutti i mali,
ma anche, infine, della speranza, l’ultima, che, in una visione simbolica della
vita, è la Donna come Madre.
La nostra protagonista entra quasi subito in scena, caratterizzata dalla particolare fotografia, che la ritrae col viso senza ombre e in contrasto cromatico netto con l’acconciatura a caschetto, divenuta poi famosa, ad esempio mediante l’eroina per eccellenza di Guido Crepax, Valentina, il cui aspetto e modo di fare ricalca molto quello della protagonista del film, sebbene la controparte cartacea della diva risulti ancora più smaliziata e noire
Valentina, di Guido Crepax. |
Lulu e Schigloch |
La vediamo anche subito correre, quasi danzare, come se si
trovasse in un prato o su palcoscenico. Difatti scopriamo subito che lei ha
doti artistiche: è una ballerina, un’attrice, e come spesso succedeva all'epoca una mantenuta (come appare anche ne La donna di Parigi, pellicola di Chaplin) del magnate Schon. Segue
l’entrata in scena del presunto padre, Schigloch, accompagnato da Rodrigo, un
losco figuro. La scena è ripresa dalle spalle dei personaggi, dietro un vetro,
come già era successo ne L‘ultima risata,
Murnau anno 1924: con ciò il regista vuole frapporre un ostacolo tra i
personaggi e il pubblico, perché ci sono cose che quest’ultimo non deve sapere.
Da notare anche il motivo delle scale, che ricorrerà spesso, le scale come
espediente di regia, per l’alternanza chiari/scuri, ma anche come elemento
simbolico di annullamento di differenza sociale, nel bene e nel male, elemento presente spesso nelle
pellicole di Ejzenštejn, da Sciopero!
a La corazzata Potëmkin.
La corazzata Potemkin |
Lo sguardo della Contessa |
E’ nell'atto II facciamo la conoscenza del figlio di Schon, Alwa,
artista, e della contessa Geschwitz, che vediamo impegnati a fumare (come
spesso accade nel bianco e nero: il fumo regala luminosità alla resa su
pellicola) . Lulu si mostra molto affettuosa con Alwa, che le offre un posto
nel suo spettacolo. Questo scatena le gelosie della contessa, di cui, complice
uno sguardo di evidente gelosia, percepiamo velatamente l’omosessualità. E’
questo il primo caso di omosessualità portata sul grande schermo, sebbene non
trattato in maniera preponderante. I sentimenti della contessa verso Lulu risulteranno
poi lampanti in un’altra scena, resi da un particolare molto interessante nella
scena delle due donne abbracciate, una bionda vestita di scuro, e l’altra mora
vestita di bianco
In altro: Lulu. In basso: Hellzapoppin |
Atto III: inquadriamo le quinte dello spettacolo, nel caos e nella
penombra, in cui vediamo mescolati, in un’ottica che possiamo definire meta
teatrale - considerando che si tratta di Kammerspiel - tutti i registri
espressivi, come da una fucina: il comico, a partire dall'entrata in scena dei
soldati e poi dallo scherzo ad Alwa, il tragico, il drammatico. Una simile
operazione sarà effettuata alcuni anni dopo, con altri intenti, nel magistrale Hellzapoppin’.
Notiamo subito come il
palco e gli spettatori non compaiano mai: si vuole dare importanza infatti a
quel che c’è “dietro” , rappresentato dalle quinte e dai camerini. Vediamo
ancora le scale, che qui però sono vertiginose, riportando alla mente le
oniriche scenografie de Il gabinetto del
dottor Caligaris. Notevole la scena degli addetti che trasportano mobili, i
quali quasi sembra che debbano bucare la pellicola, dando quindi una
tridimensionalità eccezionale alla scena (ricordiamo che è il ’29) . Il tutto rientra nell'ottica di un disordine organizzato: c’è caos, ma ognuno sa esattamente
cosa fare e dove andare, se si bada bene. Anche nella scena del ricevimento è
presente molta gente, tant'è che assistiamo a un accavallamento di persone di
spalle alla quarta parete, in contrasto con le regole del teatro e del cinema
dell’epoca, ma è facile notare che sono tutte disposte e sistemate secondo un
preciso ordine, le dame vestite tutte in chiaro per esigenze di colore, essendo
gli uomini per forza di cose vestiti in nero, indossando il frac. Anche il
padre di Lulu, se pure fosse per davvero il padre, non sembra convincente: ogni
volta che è in scena con la figlia si teme di stare per assistere a un incesto.
Risulterebbe così essere solo uno dei tanti: qualunque uomo vicino a Lulu
sembra risucchiato nel vortice della sua inconsapevole seduzione, a cui,
purtroppo Schon soccombe. In una scena lo vediamo addirittura piangere: da un
lato è ammaliato dalla grazia e dalla bellezza di Lulu, dall'altro è impaurito,
quasi atterrito dal potenziale distruttivo che la donna nasconde e che lui ha,
evidentemente, intuito.
Nonostante la tragedia che le pende sul capo, però, non rinuncia in
nessun modo alla sua vanità: si pettina, si trucca, si fa il bagno (con l’acqua
corrente, da che capiamo che è una casa ricca) e legge riviste di moda. Si
tratta di una fuga organizzata per permettere a Lulu e Alwa di fuggire insieme,
scampando alle accuse infamanti di cui la donna è accusata, ma alla coppia si
aggregano anche Schigloch e Rodrigo, che, mediante i loro intrighi, portano i
due a bordo di una nave, dove li trascinano nel vortice della perdizione, da
cui solo la contessa può salvarli.
Una enorme sala, coacervo di tutti i vizi, le si offre infatti alla
vista: si tratta di una bisca clandestina, nascosta nella stiva. Lulu appare
con una diversa acconciatura, per simboleggiare il cambiamento di status. Il
suo sorriso però è fuggevole: Alwa si è abbandonato al gioco e ha perso tutto.
La soluzione è vendere Lulu a un ricco egiziano.
La donna, sempre più sola e disperata, si confida con l’ultima
persona adatta al caso, Schigloch, il padre. La scena, quasi un dettaglio
procurato dall'incrocio delle assi delle scale, è molto ambigua: capiamo tutti
che l’uomo la sta ingannando per l’ennesima volta, dal suo sguardo, ma lei si
ostina a fidarsi di lui, addirittura lo implora “Salvami” e si rende finalmente
conto che tutto intorno a lei è spinto dall'avidità.
La situazione, subito dopo precipita, tant'è che Lulu e Alwa,
aiutati dal padre, devono fuggire precipitosamente su una scialuppa alla volta
di Londra.
Ultimo atto: nella nebbia, una silhouette, con cappello.
L’Esercito della Salvezza, con la banda che suona, addobba un alberello in
strada e distribuisce cibo e doni. Allo sconosciuto si avvicina una donna dai
tratti angelici che gli offre aiuto dopo che questi ha fatto la sua offerta, e
lo chiama “fratello” , senza neanche conoscerlo. Non sa infatti chi è il
misterioso sconosciuto, con cui Lulu si troverà presto faccia a faccia.
Al buio, in una mansarda poverissima e buia, vivono infatti, ormai
ridotti a tre, Lulu, Alwa, come impazzito, e Schigloch.
Il dettaglio del pane,
talmente duro da non poter essere neanche tagliato suggerisce una povertà
estrema. Nonostante questo, i personaggi non rinunciano ai loro vizi: Lulu addirittura
si trucca e si pettina, suggerendo l’idea che possa prostituirsi. Difatti poco
dopo esce, al freddo e nella nebbia, il che lascia poco all'immaginazione.
E’ qui che Lulu si mostra generosa fino all'estremo con l’uomo
squattrinato incontrato in strada. L’alternanza dei primi piani è altamente
simbolica: lei è in piena luce, come trasfigurata, una santa o una martire, l’uomo
invece emerge appena dalle tenebre e, cavata di tasca una candela e l’accende e
incorona con un rametto di vischio Lulu, che contempla il tutto con infinita
tristezza. Quella luce è da un lato simbolo di quell'ultima speranza, che nel
mito era rimasta nel vaso di Pandora, la speranza di cui lei è ormai la personificazione.
Ha perso tutto infatti, e il gesto dell’uomo di incoronarla con il vischio, che
prima cingeva la candela, è chiaro. La scena immediatamente precedente acquista
quindi una luce tutta nuova: si tratta del rapporto non tra amanti, ma tra
vittima sacrificale e carnefice. La fine ci è lasciata solo immaginare.
La donna, che avevamo visto ingenua, capricciosa, dispensatrice di
tutti i vizi possibili (è il film ne è un’escalation, dal sesso, ai soldi, all'alcol) , paradossalmente rimane allo stesso modo intatta e pura, con il suo
sorriso angelico, che pur non avendo niente si dona a uno sconosciuto che la
tradisce, e che si veste da suo aguzzino finale. Anche se non compaiono madri,
il riferimento è chiaro, soprattutto alla fine: le donne che appaiono sono,
nonostante tutto, dispensatrici di vita. Sono gli uomini, che hanno il potere, ad
uscirne veramente male alla fine della narrazione, mandando a rotoli tutto ciò
che c’è di buono, d’incontaminato, e tutto perché non sono mai abbastanza forti
da combattere l’influenza negativa di cui Lulu è portatrice sana.
- R.
- R.
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