Spagna, Fuendetodos 30 marzo 1746:
nacque, ultimo di sei figli, un bambino che venne battezzato con il
nome di Francisco. Dei suoi cinque fratelli la storia avrebbe
cancellato ogni traccia, fino a farne dimenticare persino i nomi,
egli invece sarebbe diventato il pittore del re, ed il più
importante evento dell'arte figurativa in Spagna, dopo Velázquez e
prima di Picasso.
Rifiutando la rivisitazione
dell'antichità, meditando sul mistero della materia egli attraversa
in un lampo tutto l'intervallo che separa il Rococò dalla pittura
moderna, modernità che consiste nel rinnovamento assoluto che lo
conduce ad esplorare un universo sconosciuto: in un momento storico
drammatico egli, per primo, ripudierà le delicate e svolazzanti
composizioni in voga, volgendo l'attenzione al grottesco, al brutto,
al mostruoso che risiede nell'animo umano, «Il sonno della ragione
genera mostri» si intitolava, non a caso, una sua celebre
acquatinta.
Francisco Goya - Il sonno della ragione genera mostri |
Pittore di corte ribelle, talmente
abile da farsi gioco della nobile corte Spagnola senza che questi se
ne accorgessero minimamente, veicolando nella sua pittura una forte
denuncia sociale: nel ritratto “la famiglia di Carlo IV” la
descrizione che egli compie è spietata, i nobili sembrano dei
fantocci, ed i loro sguardi tradiscono una stupidità infinità, poco
adatta a dei reali. Le ombre si muovono rapide, strisciano e creano
macchie, lasciando intuire quanto di marcio si possa celare dietro la
nobile famiglia del re, la nobiltà mostruosa, del resto, era già
stata rappresentata da Goya in un'altra acquatinta dal titolo “L'uomo
vive per essere succhiato”.
Francisco Goya - La famiglia del re Carlo IV |
Una lettura incredibilmente simile,
sebbene caricata da una forte valenza “splatter”, si può trovare
nel primo film di Brian Yuzna, “Society – The horror” del 1989:
il giovane Bill, rampollo dell'alta borghesia di Beverly Hills
scoprirà ben presto che la classe dirigente è composta da orrendi
mostri antropofagi che succhiano la linfa vitale dei poveri.
Nel film di Yuzna l'atmosfera,
grottesca è data anche da un sapiente uso della fotografia: la prima
parte della pellicola presenta una fotografia patinata in pieno stile
anni '80, che descrive lo sfarzo ed il lusso dell'alta società di
Los Angeles, ma al tempo stesso getta un senso di inquietudine che
crescerà sempre di più fino ad arrivare al climax finale, dove
dominano i filtri rossi, le luci fioche e le ombre nette. Se nei
primi 70 minuti, tuttavia, il grottesco era ridotto soltanto a una
“sensazione”, nei restanti 20 minuti Yuzna ci regala una delle
scene più truculente della storia del cinema, senza disdegnare il
politicamente scorretto, l'ironia graffiante e una quantità di
sangue talmente elevata che solo Peter Jackson nel suo “Splatters”
del 1992 riuscirà a battere.
La scena dell'orgia finale |
Yuzna, tuttavia, sfrutta in una maniera sorprendentemente creativa la tematica splatter, senza scadere mai
nel rivoltante o nel volgare, ma usando il sangue e la violenza
fisica in maniera espressionista, i borghesi si deformano, mutano la
carne in un osceno ribollire di sangue ed ossa, assumendo le forme
più inquietanti. Essi si cibano di altri esseri umani, i poveri (che
sono “di un'altra razza”, come proclamato da un appartenente a
questa casta) cui succhiano la linfa vitale, durante degli orrendi
festini dove regnano depravazione e perversione (maestosa la scena
dell'orgia incestuosa fra madre, padre e figlia). Il collegamento
alle opere di Goya risulta immediato, ma non solo nel ritratto di
corte, la stessa atmosfera allucinata, si ritrova in una delle più
cupe fra le “pitture nere”, «il Sabba»: i colori scuri e
sabbiosi (che ricordano la luce rossa delle scene finali della
pellicola di Yuzna) sfociano in questa lunga striscia di tenebra e di
abisso, le streghe dai volti deformi si addossano in semicerchio,
assumendo l'aspetto di un'unica massa di carne pulsante, un miscuglio
inconoscibile che osserva l'ascesa da terra del grande caprone. La
stessa folla disumanizzata, uno dei temi prediletti (nonché scoperta
socio-psicanalitica) di Goya, si ritrova in un'altra “pittura
nera”, «Il pellegrinaggio a San Isidoro»: una processione di
strani personaggi deformi, inquadrata in un paesaggio brullo ed
arido, anticipando così di cento anni il «Viaggio al termine della
notte» di Céline.
Francisco Goya - Il Sabba delle streghe |
Francisco Goya - Pellegrinaggio a San Isidoro |
La denuncia sociale, tuttavia, non è l'unico
tema a rendere Goya un pittore così moderno, il suo intteresse per
l'occulto, l'irrazionale e delle trovate al limite del blasfemo,
avvicinano Goya ad un altro regista weird, Edmund Elias Merhige ed il
suo «Begotten» del 1991.
Si tratta, senza ombra di dubbio, di
uno dei film più inquietanti ed enigmatici del panorama
cinematografico moderno, già a partire dal linguaggio: il bianco e
nero distorto e confuso della cinepresa con cui è stato girato (che
ricorda moltissimo lo stile musicale del Grunge, protagonista proprio
di quegli anni), i personaggi muti e mascherati, l'incredibile
colonna sonora composta da suoni provenienti dalla natura ed i
contenuti al limite del blasfemo, ne fanno una delle massime
espressioni del weird. Anche la trama risulta confusa: in un
diroccato casolare in campagna, un uomo mascherato si suicida
lacerandosi lo stomaco con un rasoio, alla sua morte, dal sipario
posto dietro, compare una donna, che masturba il cadavere e rimane
incinta, partorendo un figlio, una sorta di umanoide debole e
gracile. Dopo un viaggio incontreranno una tribù di uomini
incappucciati, che li sevizierà per poi ucciderli brutalmente, dal
sangue delle due vittime nasceranno piante e fiori. A questo punto,
arrivano gli shockanti titoli di coda, in cui lo spettatore confuso
viene a conoscenza dell'identità dei tre personaggi: l'uomo
mascherato è Dio, che con la sua morte genera Madre Natura, che a
sua volta darà la vita al Figlio della Terra, entrambi martoriati
dagli uomini (vestiti volutamente, tutti uguali).
Scena del suicidio in "Begotten" |
Il parallelismo con
Goya ha dell'incredibile, in quanto le scene di Mehrige ricordano
drammaticamente un'altra “pittura nera”, «Le
Parche»:sorprendente la somiglianza cromatica dei grigi fra il
dipinto ed il film, le tre figure mitologiche hanno i volti deformi
ed abbrutiti che richiamano terribilmente la maschere dei tre
protagonisti della pellicola, il paesaggio di sfondo ricorda
moltissimo la campagna vista nelle scene iniziali del film.
Francisco Goya - Le Parche |
La violenza a cui è sottoposto lo
spettatore durante la visione e l'angoscioso finale portano
all'ultimo termine di paragone, l'ultima “pittura nera” nonché
opera capitale della storia del'arte figurativa europea, «Saturno
che divora un figlio»: immerso in un cupo sfondo nero, la figura di
Saturno, con gli occhi fuori dalle orbite e gli arti mutilati dal
buio, è ritratta mentre divora uno dei suoi figli, con una cura del
particolare truculento che farebbe l'invidia di molti registi horror
attuali. Non è soltanto la violenza e il forte impattivo emotivo,
però, che accomuna le due opere: Saturno, che secondo la mitologia
aveva mangiato i suoi figli per impedire loro di succedergli al
trono, qui è rappresentato come un mostro antropofago, come se per
vivere avesse bisogno di quel pasto cannibale, così come la morte
dei due personaggi Madre Natura e Figlio della Terra, seppur brutale,
contribuisce alla rinascita della natura. Saturno (Crono per i greci,
signore del tempo), figlio di Urano (dio del cielo) e di Gea (madre
terra), cacciò suo padre e sposò Rea, dalla quale ebbe molti figli,
l'unico supersite, Giove, lo avrebbe spodestato. La morte che genera
vita, come nelle prima misteriosa scena del film e come lo stesso
Nietzsche predisse con la frase «Dio è morto»: la morte di Dio
permette alla materia di prendere forma, come un sacrificio.
Francisco Goya - Saturno divora uno dei suoi figli |
Un viaggio bizzaro quello del
grottesco, confinato nei meandri del “carnascialesco” nel
medioevo, malvisto nel Rinascimento, emerge timidamente nel Barocco
per poi essere di nuovo ostracizzato dalla bellezza ideale del
Neoclassicismo. Sarà proprio il Novecento a regalare al grottesco,
al “weird” un posto di primo piano, in tutte le sue infinite
sfaccettature. Film come quelli di Yuzna o di Mehrige (ma vale la
pena ricordare anche Cronenberg, Lynch o Tsukamoto) hanno sconvolto
il grande pubblico, spaventando non per i contenuti forti o
truculenti, ma per la mancanza assoluta di possibilità di
comprensione, terrorizzandoci per il loro essere così inaccessibili
ed enigmatici.
Sarebbe banale, quindi, dire che la
modernità di Goya sta nella critica sociale, nella satira politica o
nell'interesse per l'esoterico ed il mostruoso, altrettanto scontato
risulterebbe notare come la sua opera abbia aperto le strade
all'Espressionismo o al Surrealismo: c'è di più dietro tutto
questo, per la prima volta in secoli e secoli di tradizione
pittorica, un uomo solitario ha avuto il coraggio di andare al di là
del comprensibile, rifiutando la bellezza ideale rincorsa da tutti
gli artisti, un grottesco come espressione dei meandri più oscuri ed
incomprensibili dell'animo umano.
Per questo motivo le tele di Goya
affascinano e inquietano al tempo stesso (come «Society» o
«Begotten»), risultando, ancora oggi, tremendamente attuali.
- P.
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