[PREMESSA: volevo scusarmi con tutti i lettori per il disservizio che si è verificato in queste settimane... chiedo venia, ma purtroppo ci sono stati diversi fattori esterni che mi hanno fatto trascurare un po' il blog. Prometto di rimediare nel migliore dei modi e al più presto! - P.]
L’allegoria è per l’artista quello che è lo spartito per il musicista o la parola per il poeta: un’opportunità per coinvolgere lo spettatore trasmettendogli i propri sentimenti, le proprie idee e perché no, anche la propria essenza.
Questo “genere artistico” viene adottato sin dall’antica classicità, passando per il Medioevo e continuando, seppur modificandosi nel tempo, sino ai nostri giorni.
Non a caso ho scelto un’opera allegorica che meglio mi permette di presentarmi a voi lettori, unendo anche la mia passione per il caravaggismo.
Artemisia Gentileschi (caravaggista della seconda generazione) viene ricordata per la crudità/crudeltà delle sue tele, per la luce radente e per il forte realismo che attinge dal suo maestro.
Tra le maggiori opere vengono ricordate Giuditta e Oloferne e Danae, ma poche volte capita di incontrare Allegoria dell’inclinazione: a mio avviso, una presentazione completa delle tecniche dell’artista, ma soprattutto della forte personalità della donna.
Eseguito negli anni 1615-16, l’olio su tela venne commissionato da Michelangelo Buonarroti il Giovane.
Il soggetto della tela è sicuramente l’Inclinazione, ovvero la predisposizione verso qualsiasi forma di arte, sia essa la musica, la poesia, l’arte figurativa (come in questo caso).
La bella donna che viene raffigurata ricorda i tratti somatici di alcuni ritratti (come l'incisione di Jérome David) e presunti autoritratti della pittrice, la quale ha voluto sottolineare sia la sua prestanza fisica che l’abilità pittorica.
Non dimentichiamoci che ci troviamo di fronte a una delle prime artiste-donna, vissuta in un’età segnata da forti pregiudizi e dal profondo senso di rispetto dei ruoli sociali.
Compito della donna era quello di crescere i figli e di badare alla casa, nel tempo libero quello del cucito. Immaginate che temperamento doveva avere la giovane Artemisia in anni simili per portare avanti la sua passione!
Determinazione, magnanimità e un pizzico di arditezza l’hanno portata a rappresentare una fanciulla completamente svestita, con i biondi capelli (non più come i “preziosi fil d’oro” rinascimentali) scomposti e in disordine rispetto alla raffinata pettinatura in voga all'epoca.
Tra le mani regge una bussola sospesa in aria, mentre sullo sfondo troviamo una coltre di nubi celesti abbastanza rarefatte, impreziosite da una stella che brilla in alto a destra. L’astro probabilmente rappresenta proprio l’inclinazione pittorica, così come Dante ha assegnato alle quattro stelle all’uscita dell’Inferno le quattro virtù teologali.
La donna dalle sinuose curve ha un andamento a serpentina (ormai maturato dagli artisti post-michelangioleschi) che ci restituisce un delicato dinamismo. Il suo corpo è “oggetto del desiderio degli uomini ed oggetto dei propri dipinti ”- come precisa Alexandra Lapierre – “rivendicando contemporaneamente la bellezza del proprio corpo e il genio del suo pennello”.
La sensualità della figura venne poi censurata anni più tardi da Baldassarre Franceschini (detto il Volterrano) con drappeggi moralistici, che ricordano molto il destino degli ignudi michelangioleschi, tristemente (?) coperti dal “braghettone” Daniele da Volterra.
Artemisia e le sue allegorie ci ridanno quindi l’immagine della metaarte, oserei dire, ossia un’arte che si occupa di se stessa, che si presenta sotto forma di sensuale fanciulla che orienta gli atteggiamenti dell’artista (ecco il perché della bussola).
La stessa bussola è tenuta saldamente tra le mani della donna, ma rivolta contemporaneamente allo spettatore; non è un caso o un’espediente per rendere chissà quali piani prospettici, bensì un modo di coinvolgere chi guarda non soltanto a livello visivo, ma anche a livello sentimentale. Ognuno è capace e diretto verso un tipo di arte: chi verso la pittura, chi verso la scultura, chi verso il cinema, chi verso la musica. Non importa fondamentalmente a quale “musa “ ci affidiamo, l’importante è avere la coscienza e la consapevolezza che tutti siamo chiamati dall’Arte.
Come l’uomo è attratto dalle forme della fanciulla, noi siamo attratti quindi dall’Inclinazione: il genio di Artemisia ci abbraccia in ogni caso.
- F.
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