Il mese di Settembre sta per finire, voglio così inaugurare una piccola “tradizione” di questo
blog: l’ultimo mercoledì del mese ci sarà un articolo un po’
diverso e, per iniziare nel modo migliore possibile,
dedicherò questo primo speciale ad un vero “big” del mondo
dell’arte, un uomo grazie al quale oramai tutti parlano di pittura.
Philippe Daverio? No, troppo banale.
Vittorio Sgarbi? Beh... in un certo senso, ma in una versione rivisitata e corretta. Sto
parlando del “monarca assoluto” della critica melliflua e
retorica, del re dell’arte a buon mercato... Mr. Andrea Diprè!
Oramai bazzicando il web (e
specialmente i vari social-network o i blog) è fin troppo facile
imbattersi nella sua figura, abbigliato in un modo che ricorda più
un ingegnere che un critico d’arte, con dei tristi completini
monocromatici ed il ciuffo al vento (che, ultimamente, complice un
principio di calvizie, noto essere sempre meno rigoglioso), Andrea
Diprè ha canalizzato l’attenzione della rete attorno a sé.
il Prof. Avv. Dott. Andre Diprè, in tutta la sua maestosità |
Del resto, egli è
«The most famous art critic in the world» come scritto sul
suo sito, mica pizza e fichi.
Ma chi è, veramente, Andrea Diprè? Per
fugare ogni dubbio basta una fare ricerchina su Google: questo personaggio
è avvocato (fra l’altro laureato, sembrerebbe, con la dovuta
“comodità” di chi si prende qualche anno in più per affrontare
gli esami) ed ha militato in diverse fazioni politiche con esiti
piuttosto scarsi, fin quando fu accolto a braccia aperte dalla Lega
Nord. Del resto, il partito della Padania, che è il movimento politico con il minor numero di
laureati secondo le statistiche, non poteva farsi sfuggire
l’opportunità di avere fra le proprie fila un intellettuale dello
spessore e del calibro del Prof. Avv. Dott. Andrea Diprè.
Tanto per essere chiari, quei titoli
anteposti al suo nome, di sapore spiccatamente fantozziano, non li ho
inseriti io con fare sarcastico, ma sono le cariche di cui egli stesso si proclama
detentore.
Diprè durante una delle sue conferenze |
Attualmente Diprè gestisce due canali
televisivi privati su Sky dove propone imbarazzanti televendite
mescolando allo stile di vendita in pieno stile Roberto da Crema, la
sua verve da critico d’arte che, all’occhio attento, risulta come
l’imitazione palese (e pure un po’ triste) di Vittorio Sgarbi; se
poi si mescola a tutto questo una retorica melensa, fatta di termini
prosopopeici ed ampollosi fini a se stessi e lessico vilmente
trafugato dalla filosofia e condito con citazioni storpiate di alcuni
grandi poeti o critici (esemplare è ormai la sua frase “l’arte è
l’apparizione di una rosa fra le tenebre”, che sembrerebbe una
degradazione della definizione che lo storico Jacob Burckhardt diede
del Rinascimento Italiano) si ottiene un cocktail quasi letale. Nei
suoi programmi Diprè si propone l’obiettivo di dare spazio ai
«veri grandi artisti»,
quelli che per via delle «concrezioni
saline di un’arte sempre più drogata proposta dal mercato» non riescono a trovare spazio e non ottengono la visibilità che
meriterebbero.
Durante la presentazione gli aggettivi
si sprecano e la ridondanza della sua prosa cozza violentemente con
le creazioni dei suoi “artisti”, creando (spontaneamente o meno,
non è dato sapere) un tremendo effetto comico nello spettatore. Di esempi ce
ne sono: il ragazzo troppo cresciuto, Luciano Martinelli, che prende a modelli delle sue opere i robot
dell’animazione nipponica, producendo poi disegni degni di un
bambino delle elementari, il maestro «monarca assoluto della
pittura» Osvaldo Paniccia, con la voce rotta dall’affanno e i suoi
quadri dannatamente simili a quelli del becchino dietro il mio
quartiere che, nei ritagli di tempo, si diletta di pittura, il romano
Giacomo de Michelis che propone opere al limite della pornografia
visiva, roba da far impallidire dipinti “scandalosi” come la
'Maya desnuda' di Goya o 'L’origine del mondo' di Courbet... l’elenco
potrebbe continuare all’infinito!
Il famoso mare del maestro Osvaldo Paniccia |
In effetti, nel cercare i suoi
“artisti”, sembra che Diprè ci prenda gusto nello scovare
preoccupanti casi umani, cercando sempre dilettanti allo sbaraglio a
cui regalare il tanto agognato “quarto d’ora di popolarità”
che Andy Wahrol aveva teorizzato moltissimi anni fa, non disdegnando
nemmeno incursioni nel porno-soft: memorabili sono la modella fetish
Franca Kodi, che Diprè spaccia per «opera d’arte mobile» o
la delirante intervista a Gaia Chon con il nostro critico,
visibilmente in stato di ebbrezza, che ride come un adolescente
quando la ragazza impugna il microfono con fare equivoco e, ultimo ma
non ultimo, la performance delle due “dominatrici” fasciate di
latex che maltrattano con cera e fruste degli uomini carponi, dove
Diprè arriva a paragonare i segni delle frustate sulla schiena dei
poveracci ai tagli sulle tele di Lucio Fontana.
Questa incursione nel porno-soft,
sembra essersi fatta sempre più profonda, difatti è curioso
notare come, nella pagina facebook di un critico d’arte del suo
calibro, ci siano più foto che lo ritraggano fra pornostar, modelle
da quattro soldi e milf rifatte, piuttosto che fra i dipinti, ma del
resto la dice lunga il nuovo programma intitolato 'Diprè e la
modella' dove, accanto al professore che discute alacremente dei
fasti della pittura Veneta o dei Preraffaelliti, ci sia una ragazza
intenta in spettacoli di lap-dance o softcore.
Ultimamente diventato anch’egli un
meme (anche se, sfortunatamente, solo in Italia), Diprè ha fatto
nuovamente parlare di sé grazie al suo recente ingresso in politica, «un nuovo grande progetto
politico...trasformare l'utopia in realtà» lo definisce lui, annunciato con un ampolloso
ed avventuroso proclamo, mandato in onda sulle sue due televisioni e
diffuso anche via web. Un partito per gli artisti e gli ultimi, che
porterà giustizia e che si proclama super-partes, il cui slogan è
«Meno male che Diprè c'è !» (che curiosa sensazione di deja-vù).
Diprè e la modella. Alcuni, a sinistra, riescono a vedere un quadro. |
Perché parlare di Diprè? Perché,
effettivamente, Diprè rappresentate, senza se e senza ma, il
sottoprodotto dell’Italietta moderna, fatta di prosopopea,
ignoranza, battutine al limite della comicità infantile, vuotezza e,
soprattutto, “bunga-bunga”, il tutto ostentato con il fare di chi
ha l’arroganza di dire “lei non sa chi sono io”, un uomo che si
approfitta della semplicità dei suoi intervistati, illudendoli con
l’abbaglio di una carriera nel mondo dell’arte, per succhiare
loro i pochi risparmi faticosamente messi da parte.
Forse proprio qui sta la vera
“artisticità” di Andrea Diprè, nel suo riuscire a spacciare
tutti quei “Teomondo Scrofalo” per degli artisti e le loro brutte
pitture per capolavori al pari della Gioconda, l'applicazione
perfetta della teoria «il
medium è il messaggio» di Marshall McLuhan.
I suoi video, oramai, hanno avuto
diffusione virale su tutta la rete e la reazione è sempre la stessa:
risate a non finire. Ma volendo guardare oltre, e magari indagare con
un occhio più attento dal punto di vista sociale, le risate dello
spettatore non sono altro che la manifestazione di due grandi teorie
sul riso del Novecento, quella di Bergson e quella di Pirandello:
come sostenuto dal primo, la risata ha la funzione di “castigo
sociale”
una reazione con cui la comunità percepisce, respinge e corregge ciò
che avverte contrario allo “slancio vitale”,
e
cioè la vita stessa. In effetti come si fa a non percepire come
“errato” il modo di fare mellifluo e adulatore di Andrea Diprè,
che sembra incapace di riconoscere una “crosta” da una vera opera
d'arte ?
Un'altra opera che meriterebbe un posto al Louvrè vicino alla Gioconda ! |
Saranno forse due artiste scoperte dal grande critico ? |
Volgendo, però, l'attenzione verso gli “artisti”, la percezione
del comico cambia e volge verso “l'umorismo” teorizzato da
Pirandello: derelitti, casi umani, “freak” li chiamerebbero gli
anglofoni, o magari “vinti dalla vita” (se volessimo fare una
citazione verghiana), animati da un grande sogno e da grandi speranze,
ma coperti dalla miseria e dalla rovina, con le loro brutte opere, il
loro carattere sempre un po' sopra le righe e i loro “atelier”,
che altro non sono che le loro case polverose, che più che mai
assumono una valenza quasi simbolica del loro vivere.
In quel quarto d'ora che il Prof. Avv. Dott. Andrea Diprè concede
loro, lo spettatore assiste al tentativo di ribalta di chi ha passato
la vita ai margini e decide di rischiare tutto in quel brevissimo
lasso di tempo, anche se sa che, probabilmente, si coprirà solo di
ridicolo, facendo mostra più della propria miseria che della propria
arte, miseria che noi poveri spettatori esorcizziamo con una risata.
- P.
- P.
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